Un altro pezzo di welfare: la sanità per tutti

Come il sistema pensionistico, anche l'assistenza sanitaria appare oggi carente. Giustamente, si lamentano gli sprechi, l'inefficienza, lo straripamento della presenza politica che, dal ruolo di indirizzo generale, è passato impropriamente a quello di gestione.

Tuttavia, occorre guardare anche al passato, ricordando che, insieme alla sicurezza sociale, il servizio sanitario gratuito per tutti i cittadini è la pietra basilare di un welfare state che in Italia, pur criticabile, è da tempo garantito.

Come per le pensioni, non è da sempre così. Il timore della malattia, come quello della vecchiaia, hanno anzi inciso profondamente sulla psicologia e sui comportamenti economici degli italiani, radicando una propensione al risparmio tra le più alte del mondo, proprio in previsione di momenti difficili.

Non è cosi dappertutto. Infatti, in nessuna delle due grandi potenze sono assicurate le garanzie sanitarie costruite in Europa, e in Italia, dalla tradizione socialdemocratica.

In Italia, le innovazioni e le tappe verso l'assistenza sanitaria generalizzata per tutti i cittadini in quanto tali, portano il segno dell'iniziativa socialista. Con il governo di centro-sinistra, nel 1963, si costituisce per la prima volta lo stesso ministero della Sanità e ministro è il socialista Giacomo Mancini. Nel 1968, gli ospedali sono organizzati, con la riforma del ministro socialista Mariotti, all'interno del sistema pubblico, e l'assistenza viene perciò garantita in essi gratuitamente e senza distinzioni a tutti i cittadini.

Nel 1978 si compie, con la riforma sanitaria del ministro socialista Aniasi, il passo decisivo: la creazione del servizio sanitario nazionale e l'eliminazione del vecchio sistema mutualistico. Il riformismo e la modernizzazione della Sanità avanzano tra resistenze oggi inimmaginabili. Quando il ministro Mancini decide di ripartire le quote retributive fra i tre gradi gerarchici negli ospedali seguendo il rapporto quattro-due-uno (quattro al primario, due all'aiuto, uno all'assistente ospedaliero) i baroni delle cattedre gridano alla bolscevizzazione e pretendono di continuare ad assegnare all'assistente la piccola frazione di retribuzione che ciascun primario, arbitrariamente, ritiene opportuna.

Quando, sempre Mancini, seguendo la già precedentemente ricordata iniziativa pilota di un assessore socialista a Milano, lancia la vaccinazione di massa col metodo Sabin, che eliminerà la poliomielite (causa, ancora nel 1963, di 4500 giovani vittime) burocrati e gruppi di interesse invocano difficoltà insormontabili per la carenza di impianti di conservazione, e si devono rastrellare, adattandoli, migliaia di piccoli frigoriferi per i gelati Motta.

Le resistenze alle riforme sanitarie vengono dalle corporazioni, dagli istituti religiosi, che talvolta vedono nella Sanità uno strumento di presenza e di potere nella società, vengono dalle lobbies farmaceutiche. Ma infine le innovazioni, faticosamente, si realizzano.

Certo, anche il welfare state sanitario non rappresenta un punto di arrivo, ma di partenza. C'è stata demagogia e ingenuità nel pensare che un meccanismo di tipo scandinavo potesse funzionare bene trasferito nel nostro Mezzogiorno, ed è necessario ora superare il grande gap di efficienza tra Nord e Sud del Paese. Occorre sburocratizzare una struttura che rischia di essere al servizio non dei cittadini ma di se stessa; introdurre elementi di concorrenza; ripristinare gli incentivi al mercato e alla professionalità. Occorre anche ridurre l'influenza dei partiti. Ma senza correre il rischio di trasformare la macchina sanitaria in una gigantesca organizzazione mangiasoldi affidata esclusivamente agli addetti ai lavori.