Per l'Europa unita, con l'Internazionale
Socialista Le radici dell'europeismo socialista risalgono addirittura al secolo scorso. Sono legate al sentimento pacifista e all'ideale di fraternità tra i lavoratori di ogni nazione. Nel 1896, Turati scrive: "noi vagheggiamo l'unità mondiale e in un domani più prossimo gli Stati Uniti d'Europa, i quali moltiplichino con provvido intreccio le varie potenzialità dei popoli senza cancellarne le singole fisionomia". Il gruppo dirigente socialista in esilio a Parigi durante il fascismo (da Nenni a Saragat) consolida una mentalità internazionale; persino nel pieno della guerra, l'obiettivo europeista è espresso con forza, a prefigurare il nuovo ordine del continente dopo la catastrofe. Nel 1943, dalla sperduta isola di Ventotene, un gruppo di socialisti al confino guarda lontano. Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli e altri lanciano un "Manifesto" per l'unità europea. Nel Nord ancora occupato dai nazifascisti, nel 1944, i socialisti "ritenendo che i popoli europei soltanto in una stretta solidarietà potranno risollevarsi dalle rovine", chiedono una Federazione europea "fondata sull'esigenza popolare di stabilire un'unità economica e politica". Dopo la parentesi frontista, rotti i rapporti con il Pci nel 1956, quando socialisti e comunisti, di fronte ai carri armati sovietica Budapest si schierano su opposte barricate, il partito è pronto all'appuntamento del 1957, allorché approva in linea di principio la nascita del Mercato comune europeo sancita dai "Trattati di Roma". Da allora, la posizione dei socialisti verso l'Europa, alla cui costruzione danno un impulso decisivo grandi dirigenti come il belga Henry Spaak, è costante. Sono a favore dell'unità economica ma anche, compiendo un passo avanti rispetto ai conservatori, dell'unità politica. Vogliono infatti non l'Europa dei mercanti, ma quella dei popoli, vedono nell'Europa l'occasione per stringere i rapporti tra i partiti socialisti e democratici fratelli, allargando i confini delle lotte sociali. L'europeismo riformista dell'Internazionale si scontra con le destre nazionaliste: con il gollismo in Francia e anche con il conservatorismo insulare della signora Thatcher. A sinistra, in Italia, si scontra un conservatorismo di segno opposto - quello comunista - poi superato. Pajetta alla Camera, nel 1957, motivando il voto contrario alla costruzione europea, la bolla come "alleanza scellerata fra i monopoli dissimulata, altro non c'è, dietro la pluridecennale ostilità comunista all'Europa unita, se non il timore che essa blocchi la penetrazione dell'URSS verso occidente e anzi, con la sua superiore prosperità, costituisca una irresistibile, pacifica forza di attrazione verso i Paesi dell'Est. Una prospettiva - questa - che con il crollo del muro di Berlino si è d'altronde puntualmente concretata. L'antieuropeismo del Pci si stempererà con il tempo, ma ancora nel 1978, di fronte a un altro passo decisivo verso l'unità, l'adesione al sistema monetario europeo unico (SME), i comunisti dicono no. La lunga marcia di avvicinamento verso l'integrazione europea fornisce, tra le altre, anche una lezione di ottimismo, perché indica come le previsioni catastrofiche e la sfiducia nell'Italia si siano costantemente dimostrate infondate. Nel 1957, quando si avvia l'abbattimento delle barriere doganali per l'industria, i conservatori di destra (in questo caso la Confindustria di Furio Cicogna) e i conservatori di sinistra (i comunisti) sostenevano che la debole industria italiana, senza le stampelle del protezionismo, sarebbe crollata, travolgendo operai e imprenditori: è avvenuto il contrario, si è aperta, stimolata dalla libera concorrenza internazionale, una fase senza precedenti di ammodernamento del nostro sistema industriale. Nel 1978, i conservatori giuravano che la fragile lira italiana sarebbe stata travolta dall'adesione al sistema monetario comune. E ancora una volta si sono sbagliati. Con la assunzione, da parte socialista, delle maggiori responsabilità di governo, il contributo italiano all'unità e politica dell'Europa diventa decisivo. Nel 1985, essendo Craxi, come capo del Governo, presidente di turno della Comunità, la Cee compie un passo storico, con la revisione dei Trattati del 1957, verso più ampi poteri sovranazionali. Nel novembre 1990, il vertice Cee di Roma, piegando, come cinque anni prima, la resistenza conservatrice della signora Thatcher, che subito dopo contribuirà a costarle la carica di premier, avvia, la creazione di una moneta comune europea e la totale integrazione. Certo, dagli anni '50, la spinta dei socialisti italiani verso l'unità europea significa anche spinta verso l'Internazionale Socialista, verso una comunità cioè di partiti riformisti che aiuti a cancellare il massimalismo e il provincialismo parzialmente assimilato negli anni del frontismo. Non è facile a causa dell'influenza dei comunisti che, per decenni, individuano i socialisti democratici europei come traditori. E contagiano anche il movimento sindacale. Si deve aspettare il 1973 perché la Cgil, abbandonata la Fsm (la Federazione Sindacale Mondiale governata dal sindacato sovietico di regime) aderisca alla Ces, di ispirazione socialdemocratica. Il primo sasso contro la Fsm, con coraggio poco ricordato, è lanciato dal segretario socialista della Camera del Lavoro di Milano, Bruno Di Poi, che nel 1961, a Mosca, solo, tra migliaia di delegati, vota no al congresso della federazione. |