Il divorzio

Argentina Altobelli, dirigente sindacale dei contadini, una delle fondatrici del movimento socialista, scrive nel 1902:"il divorzio è legge dello Stato in Francia e nel Belgio, Paesi cattolicissimi: or come va che la Chiesa in questi Paesi ha acconsentito al divorzio e vorrebbe negarlo in Italia?"

Passa molto più di mezzo secolo, si susseguono, soprattutto nel dopoguerra, proposte di legge socialiste, e soltanto nel 1970 l'anomalia italiana è cancellata, con l'approvazione della legge Fortuna-Baslini sul divorzio. Ma la parte conservatrice del mondo cattolico non si rassegna, la Chiesa continua a dare una risposta chiusa e irrazionale alla semplice domanda posta nel 1902 dall'Altobelli, nonostante che il divorzio sia diventato nel frattempo legittimo in tutto il mondo civile. Si pretende un referendum, sperando che il Paese reale sia più arretrato del Parlamento, ma non è così. Nel 1974, la vittoria è definitiva, il 59% dei votanti dice di no all'abrogazione del divorzio. Soprattutto il meridione, che si espresse nel 1946 a favore della monarchia, che è la riserva dei voti neri o della destra democristiana, svela un volto moderno del quale si dovrà tenere conto. Persino la Napoli allora missina e sottoproletaria sceglie il divorzio con 100 mila voti di scarto. E Eduardo De Filippo scrive: "I napoletani sanno che da chi nega una libertà civile come il divorzio non potranno aspettarsi giustizia sociale".

Ancora una volta, l'Italia raggiunge, prevalentemente per iniziativa dei socialisti, una conquista democratica che nel resto d'Europa è stata raggiunta dalle forze liberal-democratiche con decenni di anticipo. Ancora una volta le previsioni apocalittiche dei conservatori, che annunciavano il crollo dell'istituto familiare, saranno smentite dai fatti.

Il divorzio ha un significato di libertà individuale, diventa possibile grazie al clima di modernizzazione introdotto dal centro-sinistra, contribuisce a dimostrare non infondato il titolo dell"Avanti!" "Da oggi ognuno è più libero". Ma segna anche una svolta politica di fondo: l'Italia non è più una nazione a sovranità limitata sotto la tutela della Chiesa, nella quale i cattolici intransigenti possano imporre la loro volontà e i loro costumi al resto dei cittadini. "Ha vinto l'Italia del Risorgimento, della Resistenza, della Repubblica", dice Craxi all'indomani del referendum del 1974, e in effetti lo Stato clericale, e quindi antirisorgimentale, con la legalizzazione del divorzio, subisce un duro colpo.

Lo scontro sul divorzio vede il partito socialista, appoggiato dalle esigue forze dei partiti laici, e soprattutto dai liberali, guidare il fronte progressista. Ma vede anche parzialmente incerti o divisi i due maggiori partiti. Nella Dc infatti la linea clericale e conservatrice non è unanime. Forlani, ad esempio, nel fuoco della campagna referendaria, usa toni distensivi, e sollecita il rispetto verso i gruppi cattolici e i credenti "che in coscienza arrivano a conclusioni diverse dalle nostre". I comunisti temono a lungo gli aspetti per loro negativi della battaglia divorzista: sottovalutano un problema di libertà che qualcuno ritiene prevalentemente "borghese", sopravvalutano, con eccessivo pessimismo, l'influenza clericale sull'elettorato femminile popolare. E d'altronde, all'Assemblea costituente, era stato proprio il Pci di Togliatti, per gli stessi motivi, ad approvare, insieme a destra e Pci, contro socialisti e laici, I Patti Lateranensi tra Mussolini e la Chiesa, che accettavano, contraddicendo i principi risorgimentali, la clericalizzazione dello Stato. Non solo. In Commissione, all'Assemblea costituente, il segretario comunista si astenne su una proposta democristiana che intendeva introdurre quale principio costituzionale l'indissolubilità del matrimonio. E cambiò posizione soltanto in aula, votando contro, dopo le aspre reazioni, provocate all'interno dal suo stesso partito, dall'enormità del voltafaccia a favore delle impostazioni clericali.

La storia del divorzio è anche un esempio del ruolo che il coraggio individuale e il libero giornalismo possono assumere in una battaglia per i diritti civili. Il coraggio e quello manifestato da Loris Fortuna, che negli anni '60 è un dirigente socialista friulano quasi sconosciuto e concentra ogni sua energia nella campagna divorzista. Il giornalismo è quello di una scuola libertaria, socialista e milanese che potrebbe dare ancora oggi lezione ai retori dell'anticonformismo a buon mercato che mai hanno scalfito, con le loro invettive contro "il palazzo", i veri Potenti.

Nel 1956, come già si è ricordato, a Milano, nasce, con il Giorno, il primo quotidiano non controllato dalla Confindustria, ma dall'ENI di Enrico Mattei, il primo giornale popolare, aperto al mondo, anticolonialista e profondamente democratico. Lo dirige un grande innovatore, Gaetano Baldacci che, quando lascia la poltrona di direttore a Italo Pietra, un'altra straordinaria figura di giornalista socialista, passa a fondare, nell'Italietta dei rotocalchi sulle regine e i divi, il primo settimanale politico popolare: "Abc". Gli succede, come animatore di Abc, Attilio Pandini, ex redattore capo dell"Avanti!" di Milano. Proprio dall'incontro tra Loris Fortuna e il settimanale nasce, su questo terreno nuovo e fertile, per una libera scelta di giornalisti socialisti, la campagna per il divorzio. "Abc" martella con inchieste e testimonianze, arriva a vendere un milione di copie organizza, attraverso un tagliando che i lettori staccano e firmano, l'invio al Parlamento di milioni di petizioni per il divorzio.

La stampa, per la prima volta in Italia, assume una funzione di traino sulle forze politiche. E non è un caso che il giornalista animatore della battaglia provenga proprio dal quotidiano socialista.

Nella tipografia dell"Avanti!" di Milano, carica di storia, insieme a Bettino Craxi e agli operai socialisti, Loris Fortuna brinderà la sera del 12 maggio 1974 alla vittoria del divorzio. Fortuna è friulano ma a Milano è di casa. Nelle elezioni politiche del 1968 infatti, i socialisti milanesi vicini alla linea riformista e libertaria di Craxi, hanno votato per il futuro segretario socialista, per lui e per Eugenio Scalfari