Il movimento cooperativo

Quando nel 1892, a Genova, nella sala dei Carabinieri genovesi, nasce formalmente il partito, la simbiosi tra socialismo e cooperazione è indicata dal fatto che, essendo l'adesione aperta non soltanto ai singoli, ma alle libere associazioni, proprio le cooperative sono le più largamente presenti tra i soci fondatori.
Prampolini e Turati stessi sono in quel congresso di fondazione delegati di cooperative. La radice del movimento cooperativo è garibaldina e mazziniana, la stessa dell'associazionismo e del volontariato socialista. Dal primo "magazzino di previdenza", sorto a Torino nel 1854, alla prima cooperativa di lavoro, quella dei vetrai di Altare (Savona) nel 1856, la cooperazione si diffonde con rapidità e successo nelle aree più civili e democraticamente mature del Paese, soprattutto nell'Emilia di Andrea Costa e Camillo Prampolini; rende le sue "case del popolo", come in Germania e in Gran Bretagna, il nerbo della forza organizzativa ed economica del socialismo.
La cooperazione è il prodotto di uno spirito pragmatico. "Noi gettiamo codeste forti società di operai - scrive "l'Avanti.!" di Cesena - in faccia a coloro che gridano i socialisti vagar nelle nuvole, incapaci di atti pratici". Ed è il prodotto di un'impostazione politica non rivoluzionaria, ma riformista: "il suo risultato - afferma Turati - sarà indubbiamente anche quello di involvere in un terreno pratico, pacifico e legale molti moti che altrimenti si esplicherebbero sotto forma di convulsioni e di epilessia sociale".
Il movimento regge e riprende il cammino, molto più forte, dopo le repressioni autoritarie del 1898. Regge anche al fascismo. Ma quando risorge, nel dopoguerra, l'egemonia comunista (raggiunta talvolta con l'intimidazione proprio nell'Emilia, che è il suo cuore organizzativo) tenta di trasformare la cooperazione, come d'altronde il sindacato, in una cinghia di trasmissione della volontà rivoluzionaria del partito.
In qualcosa cioè di antitetico allo spirito originario delle libere associazioni riformiste. "Noi - scrive Togliatti nel 1947 - dobbiamo togliere di mano a questo vecchio riformismo maneggione i centri decisionali e non c'è dubbio che uno degli organismi più grandi e importanti è la Lega delle Cooperative". Ma la lega regge anche alla parentesi stalinista. E' oggi il quarto o quinto gruppo economico del Paese. Forse non nell'etichetta politica della dirigenza, ma nella conduzione pratica, continua la tradizione del riformismo padano. .