Date: 03/11/2006
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I TORMENTI SOTTO LA QUERCIA ASPRO DIBATTITO IN VISTA DEL CONGRESSO «FINALE»---------- Fassino nella tenaglia Ds tra sinistra e riformisti-------------- 3/11/2006 --------- di Antonella Rampino------------------ Piero Fassino ROMA Fassino e D’Alema, sulla via del Partito democratico, rischiano di trovarsi con un partito in piena implosione. Come in un puzzle che si scompone senza che si riesca più a individuare il disegno originario, il segretario e il presidente si ritrovano stretti a sinistra da Mussi e Salvi che sventolano per il prossimo congresso minacce di scissione e una mozione con tanto di segretario alternativo a Fassino. Ma, quel che è peggio, si ritrovano assediati all’altro fianco dai riformisti, dai Violante, dagli Angius, dai Brutti, dalla generazione dei «ragazzi di Berlinguer» che del partito son sempre stati l’ossatura. Si profila una terza mozione al congresso, quello col quale nella prossima primavera i diesse dovrebbero sciogliersi nel Partito democratico, e il dibattito esplode sulla prima pagina dell’«Unità». Ieri, con una lettera aperta con la quale Luciano Violante, pur condividendone le ragioni, invitava Gavino Angius a pensarci bene. Oggi, con la risposta di Angius: ci sto per l’appunto riflettendo, ma intanto andiamo avanti. E giù una serie di considerazioni amare come veleno: per carità, «l’idea del partito nuovo è suggestiva», ma «non si può essere tollerati come una bizzarra diversità, come l’espressione di un pensiero morto, come il prodotto di una sconfitta storica e di una dannosità del futuro». Più chiaro di così: chi «tollera» sono i colleghi della Margherita. Ma anche i compagni del tuo stesso partito, quelli che puntano a un partito leggerissimo, quelli che dicono di voler discutere con te del futuro Partito democratico, «e invece intanto se ne vanno come Fassino a decidere in una riunione con Prodi e Rutelli che un gruppo di giovani professori scrivono loro il manifesto del nuovo Partito, che faran loro una scuola di formazione e pure una rivista», per dirla con Massimo Brutti. Ma di quale partito stiamo parlando? E quando poi comincia girar voce che domenica il segretario prende il volo per l’America Latina fino all’11 novembre, visita all’Internazionale socialista in Cile, un salto in Brasile e un saluto a Lula, apriti cielo: «Speriamo che nel frattempo Prodi regga!», è il refrain che gira tra i parlamentari della Quercia. E non sanno nemmeno che Fassino, ieri, alla lettera di Violante sull’«Unità» ha dedicato un’occhiata appena. Certo, ancora non tutto è perduto. «Per ora stiamo solo scrivendo un documento», fa sapere Angius. Ma intanto, il dibattito deflagra sul quotidiano che è comunque quello del partito, e si può immaginare che riflessi avrà, se non sul notabilato locale, di certo tra iscritti ed elettori. Col rischio, dice Massimo Brutti, «che a furia di non affrontare i nodi politici si apra una ferita ancor più profonda nel partito, non riuscendo a bloccare qual che anche noi maggiormente temiamo: le loro silenziose defezioni». Quelle a sinistra, e quelle sul fronte riformista post-berlingueriano. Una tenaglia. Che nasce da ragioni profonde. Cinque, che Angius minuziosamente elenca: «Il partito come dovrà essere? Leggero o radicato e robusto? La memoria storica: sarà condivisa tra noi e la Margherita, nel rispetto reciproco, o ci dovranno essere i beati e i dannati dalla Storia? Il principio di laicità ci accomuna o ci divide?». E poi, «siccome Pietro Scoppola ha detto che per i cristiano-democratici è impossibile aderire al socialismo europeo, dev’esser chiaro che per noi è impossibile uscirne». Violante sta elaborando step-by-step la propria posizione: alla direzione diesse aveva detto di preferire «un approdo lento al Partito Democratico, magari passando per una forma federativa», e infatti poi, proprio in un’intervista alla «Stampa», aveva fatto sapere di preferire l’Ulivo, come sigla per la nuova formazione. Massimo Brutti è il più netto: «Altro che direzione di marcia unitaria: qui siamo a un processo politico condotto per salti acrobatici, e al quale i diesse rischiano di arrivare disarmati». Il punto, spiega Brutti, «è che tutto l’impianto messo su in quella riunione Prodi-Fassino-Rutelli ha poco a che fare con la politica dei partiti, oltre che con la nostra storia e tradizione: e la politica dei partiti è l’unica verificabile democraticamente». In soldoni: «Temiamo un partito leggerissimo, sostenuto da un pensiero debole». Per dirla con Angius, «Non possiamo essere messi di fronte a un fatto compiuto». Entrambi, negano che la linea di Fassino e D’Alema in direzione sia stata sostanziata da un’apertura vera: la prova, e il casus belli, sta proprio nelle decisioni prese da Fassino, a quattr’occhi con Prodi e Rutelli. Certo, il percorso verso il Partito democratico è comunque lungo. Ma l’attraversamento della «terra di mezzo» si presenta già ad alto rischio.
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]