Date: 08/10/2006
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Orvieto, Prodi: partito nuovo sia vero, aperto e unitario ------------ Il seminario di Orvieto varrà forse anche più di quello che dice la successione dei discorsi dei leader. La sintesi di due giorni di dibattito è semplice: il partito democratico si fa. Lo ha detto Rutelli, lo ha ribadito Fassino, e con loro la maggioranza di Ds e Margherita. Alla fine, naturalmente, lo ha sancito Romano Prodi. Ora bisogna decidere come farlo. Con un obiettivo chiaro, come sottolinea il premier: che non sia una «semplice macchina elettorale o una federazione» ma un partito «aperto», «vero» e «unitario». Chiede coraggio, Prodi, ribadisce la sua idea di un partito «riformatore, il che non vuol dire moderato, in cui si trovi a casa propria chi si sente socialista e chi si sente popolare. Un partito governante per il bipolarismo. Un partito popolare che rappresenti la parte dinamica della società italiana». Per costruirlo nessuno «deve liquidare il proprio passato», non servono «abiure» ma la sintesi di quello che abbiamo condiviso, delle nostre storie che trovano nuovo slancio». Anche sulla collocazione internazionale il leader dell´Ulivo chiede coraggio: «Siamo noi che dobbiamo anticipare l'Europa, non viceversa. Mi impegnerò con tutte le mie forze all'allargamento del campo dei riformisti e progressisti europei». Senza rinnegare il ruolo delle forze socialdemocratiche, insomma ma cercando di guardare oltre. D'Alema: no ad un partito del leader e dei cittadini I nodi aperti riguardano la cultura politica (quali idee per un nuovo partito) e le questioni organizzative (quale forma). La base di partenza hanno provato a costruirla nei due giorni orvietani i gruppi di lavoro che hanno discusso sulla base delle relazioni del cattolico Petro Scoppola sulle «Ragioni del nuovo partito», di Roberto Gualtieri (Ds) sul «Profilo culturale e programmatico» e del prodiano Salvatore Vassallo su «La forma del partito». Proprio Vassallo ha indicato due proposte che hanno suscitato scarsi consensi fra i leader dei partiti: le primarie aperte per la scelta del leader da tenersi già la «seconda domenica di ottobre del 2007», e l'adesione individuale al nuovo partito sulla base del principio di "una testa un voto". Due idee che, così come sono state formulate, non piacciono né ai Ds - che temono una deriva leaderistica - né alla Margherita - che teme il peso degli iscritti alla Quercia. A rispondere, in maniera molto chiara, è Massimo D´Alema. Il presidente dei Ds chiede a tutti di metterci «la testa ed il cuore» e spiega che «i voti vengono dopo». «L´ultimo miglio», ammonisce, è il più difficile e «deve essere percorso con grandissima sapienza se vogliamo che si moltiplichino le presenze e che non ci siano nuove assenze». Da D'Alema due precise indicazioni La prima suona come un appello a superare le divergenze, rivolto sia a chi ci sta che a quelli che finora non ci stanno: «Io sento come bisogno che gli assenti di oggi siano presenti la prossima volta», dice. Il gran rifiuto della sinistra Ds pesa «non per una esigenza di partito» ma perché «è una ricchezza per il nuovo soggetto che vogliamo costruire». Bisogna «gettare le basi di un patto che unisca, per un grande partito che va dalla sinistra radicale ai moderati. perché un grande partito senza le ali non vola, e molto spesso le idee più innovative sono venute dalle posizioni più distanti rispetto a quelli che avevano responsabilità di direzione». Ma D´Alema non elude neanche l´altro grande nodo, quello organizzativo. Sì ad «un partito di cittadini». Ma attenzione alle pulsioni nuoviste che vorrebbero cancellare l´esistente. La partecipazione diretta, per funzionare, deve contemplare il ruolo dei partiti. Perchè certo, «le primarie sono state un momento straordinario di allargamento del campo democratico. Però se non ci fosse stata la sezione dei Ds o il circolo della Margherita, le primarie non si sarebbero potute svolgere. Insomma, «i due aspetti non vanno pensati in contrapposizione. Per funzionare hanno bisogno di convivere». Quello che non convince D´Alema è «un partito del leader e dei cittadini: l'Italia è una cosa diversa, in mezzo ci sono sindacati, associazioni, categorie, gruppi di interesse. Dobbiamo unire le grandi famiglie democratiche e questo determina un processo nuovo di riorganizzazione». Fassino: partiamo da oggi. Veltroni: è l'ultima chance Anche dal segretario della Quercia Piero Fassino è arrivato un appello alla minoranza del suo partito: «Vorrei dire a coloro che non ci sono, che qui ci sarebbero stati benissimo e dobbiamo fare di tutto perché domani ci siano». D´altronde, «non stiamo discutendo come morire, ma di come scrivere una storia nuova, che vada oltre la nostra storia». Eppure la distanza rispetto al gruppo vicino a Fabio Mussi rimane profonda. Lo si capisce, ad esempio, quando Fassino spiega che «non dobbiamo attendere i congressi, bisogna costruire da oggi le condizioni perché nasca il partito democratico», pur precisando che bisogna farlo a partire da cinque questioni concrete come la formazione di gruppi consiliari dell' Ulivo in tutte e 20 le Regioni italiane, la formazione politica comune, una rivista culturale comune, la presentazione del simbolo dell' Ulivo alle elezioni amministrative della primavera 2007. Ma anche «scrivendo insieme il manifesto fondativo del Partito democratico». Dal leader della Margherita Rutelli una – parziale - apertura sul tema della collocazione internazionale: «Ci rapporteremo senz'altro con il Pse ed anzi siamo interessati al suo percorso e alla sua evoluzione». Ora però «lavoriamo a un partito italiano che risponde a un progetto nazionale» e sul quale «non torniamo indietro» anche perché «la pazienza degli elettori non è infinita». Una posizione sulla quale concorda anche il sindaco di Roma Walter Veltroni: «Questa è l´ultima chance e se si perde questa chance faremo fatica alle prossime elezioni».
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]