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Meno male che Gusenbaeur non legge il Riformista / daI Il Riformista del 3/10/2006

Date: 02/10/2006
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Meno male che Gusenbaeur non legge il Riformista---- di Antonio Ghirelli------- Se si consultasse più spesso il Riformista e si tenessero nel debito conto le considerazioni che vi vanno illustrando i suoi più autorevoli esponenti, si eviterebbe il rischio di fare cattive figure. Come è capitato al compagno Alfred Gusenbauer, il “leader” dei socialdemocratici austriaci, che non deve aver letto o non ha tenuto nel debito conto il sarcastico articolo pubblicato ieri mattina su queste colonne da Mario Rodriguez per illustrare «l’inutilità di attardarsi nella nostalgia del partito social-democratico», ormai ridotto al rango «di un’associazione di ex-combattenti e reduci di una battaglia persa». Gusenbauer ha avuto, invece, la patetica ingenuità di presentarsi alle elezioni con quella sdrucita bandiera, vincendole, guarda caso, proprio con quel rispettabile margine del 35 per cento dei consensi che Rodriguez aveva escluso si potesse conseguire con «quei principi ispiratori». Purtroppo, in quella vetusta congrega di reduci militano una quantità enorme di altri socialdemocratici, dalla Gran Bretagna alla Spagna, dalla Germania alla Francia, che ignorano il severo monito di Rodriguez, invece di precipitarsi a Orvieto per abbeverarsi al pensiero dei margheritini inorriditi dinanzi alla prospettiva di «andare con i socialisti o, peggio, di guardare all’Internazionale, al Pse, come a una casa di approdo». Quella è ormai, come ha detto con l’abituale incisività Rutelli, una casa «inadeguata» al grande processo di cambiamento che (e qui cito nientemeno che il Corriere della Sera) stanno preparando, con una collaborazione un po’ fiacca del compagno Fassino, i “cinque petali” della Margherita: “teopop, rutelliani, teodem, prodiani e rinnovamentisti”, che dovrebbero essere i più nuovi di tutti anche se sembra comprendano soltanto due illustri della prima repubblica, Lamberto Dini e Tiziano Treu. Scherzi a parte, Rodriguez ha scritto un articolo assai sensato almeno nell’ultima parte, là dove ci spinge a parlare soprattutto di domani e non di ieri, definendo per esempio «la forma organizzativa di una rappresentanza politica che ha scelto il maggioritario e vuole adattarsi alle società dell’informazione e alla comunicazione dominata dalla tv». Anche il ripensamento della formula forse superata del partito di massa può essere indispensabile, ma non si vede perché queste sagge raccomandazioni debbano concludersi con una fricassea ideologica, culturale, storica, sociale quale sarebbe la fusione nell’ipotetico Partito democratico di tre tradizioni, tre visioni del mondo, cattolica liberale e socialista, che vengono da lontano e posseggono ciascuna una inconfondibile originalità, conservata e onorata in venti secoli di grande storia. È come mettere insieme Sant’Agostino, Voltaire e Turati o, se preferite, Maria Teresa di Calcutta, Anita Garibaldi ed Emma Bonino. Naturalmente si può sempre provare, ma potrebbe anche saltarne fuori un “cocktail” esplosivo. Con tutto vantaggio, ahimé!, per il vecchio centro-destra, il popolo dell’Irpef.

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