Date: 02/10/2006
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S’apre la guerra dei riformisti senza partito------- di Stefano Cappellini------ In fase di stesura della finanziaria hanno pressato insieme Tommaso Padoa-Schioppa. Nelle varie riunioni hanno avanzato le medesime perplessità. Entrambi conservano forti dubbi sul risultato finale. Eppure - mentre nei rispettivi partiti si agitano malumori per lo sbilanciamento a sinistra del governo, per la latitanza dei riformisti e per l’impalpabilità del Partito democratico - Francesco Rutelli e Massimo D’Alema hanno scelto comunque di spendere la faccia per difendere l’impianto della manovra. Da un po’ di tempo a questa parte i due vicepremier sembrano viaggiare in piena sintonia e ieri, in una non casuale divisione dei ruoli, hanno difeso le ragioni della finanziaria ciascuno parlando al proprio mondo di riferimento: il leader margheritino sul Corriere della sera, l’altro a Repubblica. Soprattutto, i vice di Prodi dichiarano all’unisono sulla necessità di una accelerazione verso il Pd. E’ nato un nuovo asse? Che il prossimo problema del centrosinistra sia la conflittualità tra governo e partiti, ovvero tra i leader che hanno investito ambizioni e obiettivi su un ruolo nel governo e chi è rimasto (o è stato costretto a restare) a casa madre e in queste ore frena sull’abbraccio Ds-Dl? Non mancano gli indizi per rispondere positivamente a entrambe le domande. Di certo, a pochi giorni dal seminario di Orvieto sul Pd, il fronte riformista è in crisi di identità e di progettualità: la leadership di Romano Prodi è appannata; organizzati da aree e correnti di Ds e Margherita, si susseguono seminari e convegni di taglio identitario, quando non separatista; la manovra finanziaria prende più di una botta dall’interno dell’Ulivo, tra chi denuncia il deficit di riformismo come tra chi biasima l’assenza dei riformisti in quanto Partito. Dice il demo-scettico Peppino Caldarola che quella appena varata è «una manovra sbagliata, perché introduce una soglia di ricchezza tarata male, che ci precluda una interlocuzione con i ceti produttivi del paese, che dovrebbero essere l’anima di qualsiasi progetto riformista». Sostiene l’ultra-democrat Ermete Realacci che il problema di dialogo con i ceti storicamente diffidenti verso la sinistra esiste, ma stavolta non è un problema di contenuti: «Quello che è mancato completamente - dice l’esponente dl vicino a Rutelli - è il “racconto” di questa finanziaria, la capacità di spiegarne in corso d’opera il punto di vista e i molti aspetti positivi». Non è poi certo un caso se per Caldarola il partito unico è oggi un rimedio peggio del male e per Realacci invece una necessità assoluta, «che non è solo indispensabile alla tenuta del governo, ma anche al dialogo col paese. Perché senza Pd, il rischio è che del governo i cittadini percepiscano solo la frammentazione». Realacci fa suo l’appello - già di Rutelli, ieri rilanciato anche dal ministro per gli Affari regionali Linda Lanzillotta - affinché Ds e Margherita escano da Orvieto con la convocazione in contemporanea dei rispettivi congressi. Ma nella Quercia la proposta di segnare da subito le assise nel calendario raccoglie più fastidio che consenso. Tutto lascia credere che D’Alema sia d’accordo a celebrare il prima possibile il congresso Ds, in parallelo con quello della Margherita. In pubblico il presidente ds non fa date, ma come altro interpretare il passaggio della sua intervista a Repubblica in cui chiede una accelerazione «decisa» verso il Pd, se non come un invito al partito a rompere gli indugi e a convocare le assise già in primavera? Dal Botteghino, però, in una giornata segnata soprattutto dalla lettera sottoscritta da 43 esponenti della sinistra interna per annunciare il boicottaggio di Orvieto, arrivano segnali diversi. Fassino si dice irritato dalla volontà, attribuita allo stato maggiore margheritino, di presentare Orvieto come appuntamento riuscito solo se da lì usciranno le date dei congressi. «L’appuntamento di questo fine settimana - spiegano gli uomini più vicini al segretario ds - serve a discutere di contenuti e valori, non per fare gara a chi arriva prima». Non a caso, per sopire la protesta interna, il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca utilizza come primo argomento proprio quello della tempistica: «Il seminario è l’avvio di un percorso che ha visto in campo l’Ulivo nelle ultime tre consultazioni elettorali e che, per quanto riguarda i Ds, ci ha visti impegnati in una discussione che ha coinvolto gli iscritti negli ultimi due congressi. Un avvio, e non la conclusione». A via Nazionale si teme che la Margherita voglia sfruttare l’occasione per addossare alle difficoltà interne al partito eventuali ritardi e incertezze del progetto. Per il Botteghino le cose non stanno così: «Non ci pare che nella Margherita ci siano meno tensioni che da noi. Loro dicono che negli organismi c’è stata unanimità? Per noi è un arrampicarsi sugli specchi. E i seminari di questi giorni lo dimostrano». L’impressione è che tra i due partiti dell’Ulivo sia ripartito il vecchio gioco del cerino. La differenza col passato è che ora tra Botteghino e Nazareno c’è anche un governo pronto a fare da terzo attore in scena, complicando ulteriormente le dinamiche politiche. Una prima conferma della novità di scenario, e di quanto la tensione sia realmente tornata a salire dopo un periodo abbastanza lungo di tregua, potrà darla la riunione del direttivo del Pd, convocata per questa sera da Romano Prodi in vista del seminario.
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]