Date: 02/10/2006
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ORVIETO UN CONFRONTO DECISIVO CHE SI STA TRASCINANDO PERÒ NEL PEGGIORE DEI MODI --------- Partito democratico: ma pensate di farlo così? ----- Oggi pubblichiamo in prima pagina un accorato e polemico appello al Riformista di Mario Rodriguez. Per noi è un documento importante. Perché Rodriguez è un nostro stimato collaboratore e un riformista ormai di lungo corso, sì, ma soprattutto perché avanza una critica di fondo condivisa nella sostanza, ne sono convinto, da non pochi amici di questo giornale. In poche parole, Rodriguez ci contesta un atteggiamento magari non ostile, ma a dir poco prudente, nei confronti dell'erigendo Partito democratico; dettato, sostiene, dalla tendenza aperta a farci organo di una sorta di «associazione di ex combattenti e reduci di una battaglia persa», della battaglia, cioè, per la costruzione in Italia di una grande forza socialdemocratica di tipo europeo. Voglio dirlo subito: secondo me le cose stanno diversamente. Faticare a mandar giù l'idea che l'Italia sia l'unico paese d'Europa in cui a dirsi socialisti, socialdemocratici, liberalsocialisti si corre il concretissimo rischio di essere scambiati per «ex combattenti e reduci» capaci solo di rimuginare sul passato è un conto. Io fatico, diciamo così, e non credo di essere il solo. Un altro conto è pensare che sia all'ordine del giorno, da noi, la costruzione di un partito di massa socialdemocratico. In passato io lo ho pensato, o forse sognato, e non in solitudine. Adesso lo credo infinitamente più difficile, se non addirittura impossibile, dopo tante dure repliche della storia, e non penso di essere solo neanche stavolta. Dunque? Dunque il punto di vista di quanti non pensano che socialismo, socialdemocrazia, liberalsocialismo possano essere trattati, avrebbero detto i classici, alla stregua di un cane morto, deve confrontarsi in campo aperto con altre posizioni e altri punti di vista, assai diversi tra loro, certo, ma tutti interessati alla costruzione di un soggetto politico più vasto, che possa rappresentare, in Italia, quel motore riformista del centrosinistra e della sinistra la cui perdurante assenza ha pesato come un macigno anche nella legge finanziaria appena varata dal governo dell'Unione. Questo soggetto, come è noto, si chiama Partito democratico. Può anche piacerci poco ma, per come sono state messe (non da noi) le cose, se alla fine di un processo lungo e tormentato non venisse alla luce, il suo fallimento ricadrebbe drammaticamente su tutto il centrosinistra e su tutta la sinistra. E quindi semplicemente non possiamo tifare per una simile prospettiva. Anzi, mi piace dirlo all'inizio della settimana che si concluderà con il seminario di Orvieto, dobbiamo cercare di fare la nostra parte per scongiurarla. Non la faremo, caro Rodriguez, affettando un inesistente e improponibile entusiasmo, e nemmeno mettendoci a stendere, non richiesti, l'agenda politica, programmatica e organizzativa del grande partito riformista prossimo venturo. La faremo, piuttosto, come può farla un giornale come questo, che padroni e padrini politici, se Dio vuole, non ne ha: seguendo da presso il confronto, certo, e dando libera voce a tutti i suoi protagonisti, ma prima ancora rifiutandoci di dare per scontato e per risolto ciò che scontato e risolto proprio non è. Se dovessi individuare il limite più evidente di questa finanziaria, lasciando da parte le sciocchezze sui poveri che ridono e i ricchi che piangono, ed evitando come la peste il coro di una destra che rappresenta i nostri ceti medi come dei kulak prossimi allo sterminio, direi che risiede nel suo vuoto di politica: come se l'Unione al governo non conoscesse il paese com'è, e non avesse neanche chiaro il paese che vorrebbe lasciare, quando verrà il momento, al giudizio degli elettori. Probabilmente, il medesimo, pesantissimo limite, vale anche per il Partito democratico, compresi tutti quei suoi fautori che ogni giorno ci esortano a lasciarci definitivamente alle spalle il Novecento. Identità, cultura politica, progetti, programmi che diano un senso al nuovo partito si fatica a vederne. L'unica cosa che sin qui si capisce è che tanto la Quercia quanto la Margherita hanno avuto modo di apprendere sulla loro carne viva che, da sole, non andranno mai molto oltre i loro stentati consensi attuali; e quindi nel migliore dei casi si ripropongono senza entusiasmo, nella speranza di farne domani qualcosa di simile a una forza, di mettere assieme (adesione al Partito socialista europeo, dissensi interni e resistenze passive delle rispettive oligarchie permettendo) le rispettive debolezze. Sottolinearlo non significa remare contro, ma cercare di dare una mano per rimettere il treno riformista sui suoi binari. (p. fr.)
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]