Date: 26/09/2006
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Il socialismo tormento dei socialisti- --- di MARC LAZAR------------- INTERROGARSI su cosa sia il socialismo è stato il tormento dei socialisti fin dalla loro apparizione, nel XIX secolo. La questione comporta essenzialmente tre dimensioni. La prima, di natura teorica, ha suscitato una gigantesca letteratura sul significato da attribuire a questo termine, resa anche più abbondante dal fatto che il socialismo si è costantemente adattato alla realtà. La seconda è politica: il socialismo orienta la strategia dei partiti che vi fanno riferimento, ne determina il programma e l'azione di governo. Ed è anche oggetto di controversie, sia tra loro che all'interno di ciascun partito socialista, sul piano ideologico ma anche per rivalità di potere. C'è infine una dimensione di tipo identitario: il socialismo è per i suoi adepti un'intelligibilità del mondo, conferisce un significato alla loro esistenza e li definisce collettivamente. Ancora una volta, la discussione si riaccende nella sinistra europea. E in particolare in Italia, nella prospettiva della creazione del partito democratico. Ma anziché sforzarsi di stabilire se la sinistra sia ciò che sostiene di essere, di ragionare sulla sua natura, di postularne l'omogeneità o di enunciare le cose da fare, è senza dubbio più razionale esaminare la sua evoluzione a partire dagli anni 80. In effetti, da quel momento in poi è subentrata una profonda destabilizzazione di quelle che erano state le sue principali componenti durante il XX secolo. Nel 1989 il comunismo - ortodosso o riformatore - già indebolito nel periodo precedente, subisce una clamorosa sconfitta che segna il suo fallimento storico. Ed entra in crisi, sia pure per ragioni diverse, anche il socialismo, che nell'Europa occidentale aveva assunto forme diverse, con andamenti cronologici e procedimenti variabili da un paese all'altro. I principali partiti socialdemocratici, una volta riveduto il loro progetto originario, rinunciando alla rivoluzione, alla socializzazione dei mezzi di produzione e alla centralità della classe operaia, contribuiscono in modo decisivo (ma non esclusivo) al rafforzamento della democrazia, e soprattutto alla costruzione di un potente stato sociale che cambia la fisionomia dell'Europa e degli europei dopo la seconda guerra mondiale. Quelle formidabili realizzazioni sono allora contrassegnate da un processo contraddittorio. Da un lato, il successo presso l'opinione pubblica - non esclusa una parte importante della destra - devitalizza il socialismo. Dall'altro, i pilastri del welfare sono scossi dalla globalizzazione, da un'Unione europea sempre più incline alla deregulation, dall'affermarsi del pensiero liberista e dalle trasformazioni subentrate nelle società post-industriali, sempre più individualiste. Trasformazioni che danno vita a rivendicazioni antinomiche non solo da parte degli attori classici - lavoratori dipendenti, confederazioni sindacali, professioni autonome - ma anche di nuovi soggetti approdati alla sfera pubblica: le donne, gli ecologisti, i disoccupati, i precari, gli immigrati: al tempo stesso più protezione e meno stato, più politica sociale e meno tasse, uguaglianza e libertà, riconoscimento di diritti collettivi inediti e rispetto delle scelte individuali, accettazione delle differenze e impennate autoritarie, apertura al vasto mondo e ripiegamento xenofobo, tolleranza verso l'altro e paura davanti all'insicurezza. Ne risulta che il welfare non è più appannaggio dei socialisti, e neppure può rimanere immutato. Da un lato queste trasformazioni hanno rafforzato l'unità della sinistra in Europa, ma al tempo stesso ne hanno accentuato le fratture. La sua unità è consolidata ad esempio grazie al fatto che l'opposizione frontale tra rivoluzionari e riformisti si è notevolmente attenuata, sebbene non si sia scomparsa. D'altra parte, le sue divisioni si sono approfondite con l'emergere di quattro grandi orientamenti, espressione di diverse sensibilità per rispondere alle nuove sfide e affrontare la destra, compresa quella estrema e populista. Nella sinistra radicale, le correnti neocomuniste si intrecciano con una galassia di movimenti protestatari che aborriscono la globalizzazione, il nazionalismo, la sinistra "di gestione del sistema", l'Europa; sostengono i lavoratori e gli esclusi, e credono nella rottura, nell'alternativa, nell'utopia. La sinistra conservatrice, molto diffidente verso il mercato e sempre più critica verso l'Europa, afferma la necessità di tornare ad erigere le tavole della legge socialista: in particolare il "tutto Stato" e le nazionalizzazioni, posizione questa che però conduce spesso a una deriva social-nazionalista. La sinistra del rinnovamento cerca di aggiornarsi nel portare avanti la tradizione socialdemocratica, ad esempio con la tendenza a preconizzare livelli di tassazione elevati, partner sociali vigorosi, l'Europa sociale, uno stato modernizzato e l'introduzione di procedure di regolamentazione della globalizzazione e del mercato. Infine, la sinistra social-liberale si propone di superare i confini classici del socialismo. Nell'intento di sfruttare le potenzialità del mercato, limita gli interventi dello Stato, ridefinisce l'uguaglianza in quanto concetto chiave per la sinistra, sottolinea il ruolo essenziale della libertà e dell'individuo, accentua l'importanza del problema della sicurezza, ma anche quella di organizzare la solidarietà e il sostegno ai più indigenti, ecc. Tutte le combinazioni - convergenze e divergenze, alleanze e scontri - si producono tra queste sensibilità spesso divise anche al loro interno (ad esempio sull'Europa), che si rivolgono a fasce di popolazione diverse. E nel loro insieme compongono il quadro di una sinistra estremamente frammentata. In Francia, ad esempio, i trotzkisti si collocano nell'area della sinistra radicale; il partito comunista è a metà strada tra quest'ultima e la sinistra conservatrice, mentre il Ps comprende nei suoi ranghi le quattro correnti sopra descritte, tra le quali quella social-liberale è ultraminoritaria. Sempre in Francia, un recente sondaggio dimostra che tra i simpatizzanti di sinistra si cristallizzano famiglie ben distinte, con aspirazioni e valori differenziati, tanto da essere quasi incompatibili. In Italia, Rifondazione oscilla tra la posizione della sinistra radicale e di quella conservatrice, mentre i Ds tendono a esitare tra il rinnovamento nella continuità e il social-liberalismo - il che spiega le loro lacerazioni interne in merito al partito democratico. Per i Ds, impegnarsi in quest'operazione risponde a una preoccupazione strategica nazionale - quella di consolidare l'alleanza con i centristi - ma anche alla grande ambizione di dar vita a un nuovo partito che sintetizzi diversi riformismi, e possa servire da esempio altrove. Al di là dell'importante problema di decidere se affiliarsi o meno al Pse, dovranno indubbiamente indicare più chiaramente di quanto abbiano fatto finora i capisaldi che accomunano le sinistre rinnovatrice e social-liberale, e le differenziano dalla destra. Ad esempio, se accettare pienamente il mercato e la globalizzazione per favorire la crescita, perseguendo però al tempo stesso lo sviluppo sostenibile e la tutela dell'ambiente; essere l'espressione del grido di dolore dei più indigenti in funzione di una critica sociale del capitalismo; ridurre le disuguaglianze e le discriminazioni - sociali, sessuali, culturali, etniche - ma senza sconfinare nell'egualitarismo livellatore, in uno statalismo soffocante o in un serafico buonismo; consolidare e ampliare l'insieme dei diritti civili, sociali e culturali, facendosi carico al tempo stesso della sicurezza pubblica; consentire la piena realizzazione dell'individuo attraverso la parità delle opportunità, e favorire al tempo stesso l'associazionismo per l'azione collettiva; approfondire la democrazia e inventare nuove prassi democratiche. Un matrimonio non comporta obbligatoriamente la dissoluzione dell'identità originaria dei coniugi, né il ripudio del passato di ciascuno di essi.
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]