Date: 19/09/2006
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Un partito democratico o un partito per Prodi? ------------------- • da Il Riformista del 19 settembre 2006, pag. 1------------------------------ di Emanuele Macaluso --------------- La vicenda di Telecom rivela in modo inequivocabile la debolezza politica della guida del governo. Dopo il «non sapevo niente» e il «non conoscevo ciò che il mio consigliere proponeva a Tronchetti Provera», e dopo aver affermato con sicurezza che solo dei matti potevano pensare di discutere in Parlamento il «caso», Prodi ha poi annunciato che due suoi ministri (evidentemente matti) lo faranno; dopo avere detto che il suo Rovati non si sarebbe dimesso, leggiamo poi sui giornali che il consigliere si è dimesso. E che dire dell’opposizione? Berlusconi chiede prima una commissione di inchiesta (come su Telekom Serbia?) e poi le dimissioni del governo come se parlasse una persona libera da interessi nel settore economico di cui si parla. Semmai c’è da osservare come il conflitto di interessi si manifesti non solo se si è al governo ma anche all’opposizione. Insomma, il sistema politico italiano non riesce a uscire dalla crisi che lo caratterizza. Il fatto che nel 2006, dieci anni dopo il 1996, si siano sfidati ancora Prodi e Berlusconi è un segno evidente che non c’è un rinnovamento di classi dirigenti e di leadership. Nella prima repubblica il ricambio era bloccato a causa dell’assenza di alternanza al governo. E Moro poteva dire che la Dc doveva essere alternativa a se stessa. Eppure all’interno di quel partito il ricambio dei leader era un segno di vitalità politica. Ora dobbiamo guardare con serenità e onestà il travaglio che c’è all’interno dei due poli per superare le attuali formazioni e costruire nuovi soggetti politici più robusti e adeguati. Su queste colonne avevo scritto che nel centrodestra il vero punto di crisi è Forza Italia perché si identifica ancora, e solo, con il suo leader e appare un partito irriformabile. Sandro Bondi mi ha gentilmente risposto elencando «riforme» statutarie riguardanti la vita del partito che riforme non sono perché ruotano su un punto fermo: Berlusconi è il sole e tutto ruota intorno ad esso. Ingenuamente Bondi scrive che la direzione del partito deve «assistere il presidente nelle decisioni politiche e organizzative cruciali». Insomma «l’organo» decisionale è sempre uno e uno solo: il Cavaliere. Va detto che la discussione nell’Ulivo per dare vita al partito democratico è sì diversa, ma surreale. Fassino ha detto (ricordando il congresso del 2001) che è tornato a Pesaro dopo 5 anni (cinque) in cui si è impegnato (come D’Alema, Rutelli e Prodi) a fare quel partito e che «indietro non si torna» ma non spiega perché non si va avanti. Forse perché il nodo della collocazione internazionale del partito non è risolvibile e sui temi “eticamente sensibili” si manifestano contrapposizioni radicali, ma anche perché in molti, soprattutto nella Margherita, avvertono che c’è chi lavora per fare del partito democratico un “partito per Prodi”. I leader della Margherita sulla vicenda di Telecom hanno sornionamente criticato palazzo Chigi per la sua linea politica, ma soprattutto è trapelata la preoccupazione che a decidere sulla riorganizzazione dei poteri che contano fosse solo Prodi con il suo “staff”, con i suoi fedeli, insomma il possibile nucleo forte del progettato partito. Il leader, quando è espresso da un grande partito come frutto di una battaglia politica è una cosa; quando invece è frutto di un enorme potere personale senza partito (Berlusconi) è un’altra. Se poi si vuole costruire un partito per supportare una persona che un partito non ha (Prodi) è un’altra cosa ancora. Lo vediamo tutti i giorni.
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]