Date: 09/09/2006
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Per un nuovo partito non bastano parole nuove ----- - • da Il Riformista del 5 settembre 2006, pag. 1------- di Emanuele Macaluso Nei giorni scorsi su Repubblica abbiamo seguito un dibattito sulla «morte del socialismo» cui hanno partecipato illustri studiosi europei e personalità politiche italiane, e abbiamo letto alcune riflessioni interessanti in un ammasso di ovvietà, di cose dette e ridette, fritte e rifritte. Insomma, si cerca di dare dignità culturale all’operazione politica che dovrebbe dare vita al Partito democratico. Si voleva volare alto per finire con la domanda, a volo basso ma sensata, di Ilvo Diamanti che domenica su quel giornale si chiedeva perché le forze che dicono di volere il Partito democratico non abbiano fatto una festa in comune, lasciando in piedi quelle dell’Unità, della Margherita e altri fiorellini. Che il mondo sia cambiato lo vediamo e lo sappiamo. Il cambiamento ha fatto implodere l’Urss e gli Stati che seguivano il suo modello autoritario e statizzato, ma non il socialismo democratico, al quale ha posto problemi nuovi e non previsti né nelle tavole del marxismo né nella abituale prassi socialdemocratica. E a questi problemi i partiti socialisti hanno dato, anche con ritardi e difficoltà, risposte che sono innovative e in continuità con la loro storia. Abbiamo letto decine di pagine che spiegano che non siamo più negli anni delle nazionalizzazioni. I partiti socialisti quando non hanno capito in tempo che quella politica non era più funzionale allo sviluppo sono stati puniti dagli elettori. I quali però li hanno premiati quando le “riforme” dei conservatori tendevano a buttare il bambino con l’acqua sporca. Che oggi non si debba statalizzare nulla l’ha capito anche la nostra sinistra radicalissima, che ormai identifica la rivoluzione con lo “spalmare” qualcosa. Giddens invece scopre che «il socialismo è morto la sinistra no». In Europa non c’è stato “il socialismo”, ma partiti socialisti riformisti che con la loro opera nella società, nei parlamenti, nei governi, hanno trasformato e non abbattuto il capitalismo, allargando le maglie della democrazia, sostenendo i movimenti femministi, dei nuovi diritti individuali e collettivi. E la sinistra non è morta perché non sono morti i partiti socialisti i cui obiettivi non si identificano con la “città futura”, ma con la “libertà uguale” come dice «l’ossimoro» di Giuliano Amato. In Italia non c’è un grande partito socialista come in Europa. Ma le ragioni per cui non c’è non cancellano quelle del socialismo democratico. La battaglia che oggi conduce il centro-sinistra in buona parte si identifica proprio con quelle ragioni. Certo, sarebbe bene che i riformisti del centro-sinistra si trovassero in un solo grande partito. Però nel ragionamento dei sostenitori del Partito democratico c’è una contraddizione. In un suo recente scritto Luciano Cafagna osserva che le società moderne esprimono esigenze nuove «in continuità con l’umanesimo socialista» identificabili nelle nuove libertà di costume e nei relativi diritti, e soprattutto si configurano come società della conoscenza e del progresso scientifico. Cafagna pensa che questa prospettiva può essere vissuta come «moderna utopia umanista» dal mondo laico-socialista e con diffidenza e anche con ostilità da quello cattolico. La questione è molto seria e non può essere accantonata, come dice l’ottimo Veltroni, insieme al tema della collocazione internazionale del Partito democratico, per costruire un contenitore senza storia e senza anima, affollato solo di parole “nuove” e di assessori e aspiranti consiglieri di amministrazione delle Asl.
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]