Date: 01/09/2006
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De Michelis: «Ma quali funerali, il socialismo europeo è più vivo che mai e l'Italia dovrà per forza prenderne atto» Onorevole Gianni De Michelis, dal dibattito che si sta sviluppando in questi giorni sulla stampa sembra che non moriremo democristiani ma nemmeno socialisti. «È una discussione che ha una ragione strumentale legata al partito democratico - dice il segretario del Nuovo Psi -. Siccome uno degli ostacoli al progetto è la divisione tra Margherita e Ds sulla collocazione in una delle grandi famiglie politiche europee, con la Quercia che non intende abbandonare la casa del Pse, allora si è aperta una discussione sulla validità di definirsi socialisti all'inizio del ventunesimo secolo. Ma è una discussione che può interessare solo chi è interessato a un compromesso tra i due protagonisti. E questo a me interessa molto poco». Ma esiste una questione socialista? «È attuale più che mai mentre la questione dell'unità socialista non lo è più: l'idea di rimettere assieme le stanche membra di quello che fu il glorioso Psi, anche per incapacità nostra, è ormai tramontata». Da che cosa deriva l'attualità? «Prescinde da chi è stato socialista. Ed è sentita dalle giovani generazioni che non hanno conosciuto il socialismo di ieri. Incontrando i giovani in giro per l'Italia vedo che per l'identità socialista e la sua cultura c'è un interesse molto forte. E il ventunesimo secolo probabilmente sarà caratterizzato da un forte rilancio della proposta politica del socialismo». Quale socialismo? «Un socialismo correttamente inteso, moderno, che oggi definiremmo liberale. Sicuramente riformista. E che ha lasciato definitivamente alle spalle le varianti massimaliste ed estremiste, per non parlare di quella degenerazione che è stato il comunismo». Come finirà questa discussione? «Alla fine del partito democratico non se ne farà nulla. Oppure se si farà qualcosa, sarà un partito socialdemocratico, che per avere un richiamo dovrà adottare un'identità socialista, naturalmente declinata guardando al futuro. E che sceglierà come collocazione europea la famiglia socialista». Perché ne è così sicuro? «Non si capisce in che modo l'Italia possa avere un futuro politico divergendo politicamente dall'Europa». Una specie di effetto Maastricht sui partiti? «Il coronamento dell'integrazione economica e finanziaria è l'avvio dell'integrazione politica. Quando parte un processo di integrazione tra diversi sistemi politici nazionali, inevitabilmente diventa centrale una logica di convergenza. Proprio come è successo nei 50 anni del processo di integrazione economica». La stessa cosa avverrà sul piano politico? «Sì. Magari ci metteremo 50 anni, si procederà per tappe, ma non c'è il minimo dubbio. A meno che l'integrazione europea non salti in aria, cosa che ritengo impossibile perchè i costi della disintegrazione sarebbero troppo elevati per tutti. Ma se questa resta la direzione di marcia, allora anche le diverse realtà politico-istituzionali e nazionali tenderanno a convergere. Per questo ho detto 15 anni fa che quando si parla di riforme istituzionali non occorre inventare niente, basta semplicemente muoversi nella direzione della media europea. Che è anche la ragione per la quale gli unici sistemi elettorali utili e possibili sono quello tedesco o quello francese». Eppure in Italia sono nati partiti nuovi come Forza Italia, l'Ulivo, la Margherita. «Da questo punto di vista gli anni della seconda Repubblica sono stati un disastro: abbiamo pensato a inventare dei fenomeni speciali, partiti senza riferimento a culture e identità politiche precise. Si è saccheggiata la botanica. Ma l'Europa è organizzata attorno ad alcune grandi famiglie che rappresentano le forze con un progetto di governo, e ad alcune minoranze con logiche antisistemiche. E anche in Italia la riorganizzazione del sistema politico significherà semplicemente adattarsi a questo schema». Uno studioso come Giddens sostiene che il Pse non è più socialista. «Ma lui è inglese. E gli inglesi in realtà il termine socialista non l'hanno mai adottato. Mai. Il loro partito si chiama Labour e lei non troverà il riferimento al socialismo nella storia politica inglese. L'Inghilterra non è la strada maestra europea, è in qualche modo un paese divergente dall'Europa o ancora non del tutto convergente. Tanto per dirne una ha ancora la sterlina e non l'euro. In realtà il socialismo europeo è più vivo che mai come dimostrano i governi in Spagna e in Germania. Altro che funerali». C'è chi sostiene che nell'89 con la caduta del muro di Berlino anche il socialismo è caduto, con il fallimento della presenza pubblica in economia. «Non discuto sul fallimento della presenza pubblica, tuttavia il socialismo ha saputo modificare in parte il proprio progetto politico. È evoluto. L'identità oggi non è caratterizzata né dal dirigismo né dalla proprietà pubblica dei mezzi di produzione. Oggi socialismo significa coniugare equità, libertà e democrazia. Mentre resta valida la più grande conquista del socialismo: lo stato sociale. E poi il socialismo è il movimento politico che esprime nella società gli interessi del mondo del lavoro. Punto. E siccome la realtà del lavoro c'è sempre, rimarrà la validità della posizione socialista». Antonio Liviero
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