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L’invasione del ’56 e il coraggio di Napolitano /Il Messaggero

Date: 30/08/2006
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L’invasione del ’56 e il coraggio di Napolitano • da Il Messaggero del 30 agosto 2006, pag. 1 di Giovanni Sabbatucci Quasi cinquant'anni fa era l'ottobre del 1956 Togliatti e l'intero gruppo dirigente del Pci, con l'appoggio convinto di gran parte della base, si schierarono a favore della cruenta repressione militare condotta dai sovietici a Budapest contro un'insurrezione dall'inequivocabile carattere popolare. Per oltre trent'anni, i comunisti italiani continuarono a rivendicare quella scelta con argomenti che sono a dir poco discutibili. Argomenti tutti interni alla logica di schieramento (“Da una parte della barricata”, così suonava un famoso titolo dell' Unità ) che allora dominava l'Europa e il mondo. In particolare, l'intervento dei carri armati veniva giustificato con l'eventualità di una fuoriuscita dell'Ungheria dal campo socialista e dal Patto di Varsavia (diverso sarebbe stato dodici anni dopo il caso della Cecoslovacchia): come se la scelta del modello economico-sociale e delle alleanze non fossero prerogative essenziali di uno Stato indipendente. Per le prime significative autocritiche si dovettero attendere i tardi anni Ottanta, con l'incombente crisi del blocco sovietico. Parlarono, fra i dirigenti anziani, Giorgio Napolitano e lo stesso Pietro Ingrao (autore di quel famoso articolo dell' Unità ). E, nel giugno 1989, Piero Fassino, allora giovane responsabile esteri del partito, partecipò a Budapest alle esequie ufficiali, oltre trent'anni dalla morte, del presidente Imre Nagy, la vittima più illustre della repressione. Non credo sia azzardato pensare che il ritardo nel riconoscimento dell'errore abbia pesato quasi quanto l'errore medesimo nell'ostacolare un più rapido approdo del Pci alle sponde del socialismo riformista e la ricomposizione della sinistra italiana sull'unico terreno allora possibile. Sono passati ancora molti anni e ieri l' Unità ha pubblicato con qualche rilievo una lettera indirizzata nel giugno scorso da Giorgio Napolitano al presidente della Fondazione Nenni, Giuseppe Tamburrano. Napolitano, che alla fine di settembre sarà a Budapest in visita ufficiale, ricorda di aver riconosciuto già vent'anni fa le buone ragioni di Antonio Giolitti (unico dissidente non pentito fra i maggiori dirigenti del Pci sulla questione ungherese); e aggiunge un ulteriore riconoscimento alla «validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni e di gran parte del Psi in quel cruciale momento». Di quel Nenni che, nell'occasione, si fece guidare dai sentimenti e dall'istinto politico e condannò senza remore l'intervento dei carri armati sovietici, lasciandosi alle spalle un decennio di imbarazzante subalternità all'Urss e allo stalinismo. Ci si può chiedere dove stia la novità, visto che l'autocritica di Napolitano, risalente, come si è detto, agli anni Ottanta, trova ampio spazio nella sua autobiografia uscita un anno fa per i tipi di Laterza; e lo stesso riconoscimento alle ragioni di Nenni e del Psi era in qualche modo implicito in quella autocritica. Altro è il motivo che rende degne di nota le parole del Presidente. Il vecchio dirigente del Pci asceso alla suprema carica della Repubblica, contestato da un'insidiosa campagna della stampa di centro-destra proprio per una sua presunta inidoneità a rappresentare l'Italia in Ungheria mentre ricorre il cinquantenario del fatidico '56, non si sottrae al confronto sulla sua vicenda politica e non si nasconde dietro giri di parole autogiustificativi. Ammette semplicemente di aver avuto torto e dà ragione ai suoi critici di allora. Come dire che la storia non va negata né rimossa, ma non può essere nemmeno ridotta a recriminazione o piegata a usi polemici impropri.

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