La sinistra riformista non ignori la guerra
Coi pacifisti nessuna sudditanza è possibile
di Peppino Caldarola
Ha ragione Rino Formica a scrivere che la sinistra deve fare i conti con la guerra. La prospettiva che ci indicano i pacifisti non porta lontano. Nessuno mette in discussione le buone intenzioni, ma c’è nel pacifismo una vocazione unilaterale che spesso è agghiacciante. Lo è nell’interpretazione del mondo quando vede solo nell’Occidente, e in particolare negli Usa, la fonte primaria della guerra. Lo è quando affronta i temi della democrazia e della libertà, quando antepone lo status quo, che punisce gran parte della popolazione mondiale, scegliendo di non contrastare le peggiori dittature. Lo è quando non vede nel dilagare del terrorismo islamico il prevalere di un nuovo potere mondiale arricchito anche esso dalla cedola petrolifera, alimentato dal fanatismo religioso, pronto a scatenare la sua battaglia di morte con ogni mezzo, sia contro i propri popoli e i propri correligionari, sia dovunque sul pianeta. La guerra c’è, è asimmetrica, spietata, usa le sofferenze dei poveri del mondo a favore dei nuovi ricchi, siano dittatori arabi o fanatici religiosi, vuole descrivere una nuova gerarchia mondiale che se si affermasse farebbe fare all’umanità un salto indietro di secoli. L'errore degli Usa è di aver concepito con la guerra in Iraq, una strategia che metteva in conto un effetto domino che non c'è stato, cade Saddam cadono tutti gli altri, è una forza di persuasione verso il mondo arabo impraticabile con la guerra preventiva. L'errore del pacifismo è di non aver mai preso in considerazione che l'opposizione senza se e senza ma alla guerra, talvolta con la scelta aperta a favore di chiunque resista al prevalere Usa, non dà risposte alla domanda di democrazia che si affaccia in quegli stessi paesi, dall'Iran al Libano, in cui esiste una società civile che non vuole democrazia da importazione ma che non è tutta soggiogata dal fanatismo. L'errore del pacifismo è quello di non aver mai compreso il senso della battaglia per la sopravvivenza di Israele. Disarmare Israele sarebbe condannarla all'eliminazione, sarebbe una nuova pagina nera della storia che si chiude a vantaggio delle peggiori culture razziste, sarebbe una sconfitta di una speranza democratica. E’ anche per questo che la sinistra che difende Israele si è caricata sulle spalle non solo la responsabilità di una difficile posizione di solidarietà, ma ha dato una risposta sia all'unilateralismo pacifista sia al realismo di chi pensa che fermare Israele sia un prius rispetto al tema di come si difende Israele. Formica sfugge sia alla suggestione sull'inevitabilità della guerra, sia all'apologia della guerra come passaggio obbligato per la rigenerazione del mondo. Sono due tesi che prevalgono tra i conservatori di destra ma che non hanno alcuna familiarità con una sinistra che lavora per la pace, che sceglie la strada diplomatica e umanitaria, ma non sfugge ai quesiti posti dai conflitti. La sinistra si è sempre presentata come il campo del pacifismo, anche quando, come nel caso del Pci, il campo del pacifismo era presidiato dall'Urss e dai suoi impresentabili alleati (era impresentabile anche l'Urss). Il paradosso della sinistra di provenienza comunista sta nel fatto che ebbe su Craxi due atteggiamenti diversi nel caso di Sigonella e nel caso degli Euromissili, enfatizzò Sigonella, si oppose all'altra scelta. Forse sarebbe stato più utile fare il contrario. Sigonella partiva da un diritto, la violazione americana della sovranità nazionale, ma ragionava su un torto, l’impunità dei terroristi dell’Achille Lauro. Gli euromissili erano l’estrema risorsa dell’Occidente contro il riarmo sovietico, contro un regime che consumava le sue ultime risorse economiche di consenso in una nuova fallimentare gara con l'Occidente. Il socialismo nel tempo della guerra asimmetrica non è fatto di sì o di no assoluti. E’ costruito intorno ad alcuni no e ad alcuni sì. E’ certamente costruito intorno al no alle guerre di aggressione, ai mutamenti di regime provocati attraverso soluzioni preventive, alle guerre etniche, alle stragi religiose. Qui si mette assieme quel tipo di guerra che viene dal passato con la modernità orribile dei conflitti moderni. Ma le guerre, o se volete dirlo più candidamente: l'uso della forza, pretendono un sì quando siamo di fronte alla messa in discussione di valori forti. Le stragi etniche, l'autodifesa di uno Stato, la scelta unilaterale di provocare un mutamento dell'ordine mondiale. La guerra si può fare in tanti modi. Nell'ultimo caso che ho citato viene in mente il caso dell'Iran. E del tutto evidente che solo menti malate possono immaginare un attacco preventivo al regime dispotico iraniano, ma è altrettanto evidente che fino a che la comunità mondiale e l'intero Occidente, non considereranno questo Iran come un nemico da isolare e piegare sarà difficile impedire che da Teheran partano le più insidiose strategie di sovversione internazionale. La guerra è anche oggi il ricorso all'uso della forza per intervenire nei conflitti tra gli stati e negli stati. C'è una dose alta di ipocrisia in chi chiede il ritiro dall'Afghanistan e vuole mandare i Caschi blu a Gaza. L'uso della forza non è solo interposizione militare tra i contendenti. Il paciere disarma, interviene nello scontro, in una fase svolge un ruolo armato. Se non è così, l'uso della forza è un vero inganno. Oggi il mondo ha dentro di sé un focolaio di guerra costituito dal network terroristico e dal favore con cui queste milizie e questi gruppi vengono considerati dalla quasi totalità dei regimi arabi. Il disarmo di questi gruppi è un atto di guerra ma è un atto di guerra necessario. Una sinistra moderna e riformista non può smettere di dialogare con il mondo pacifista ma deve svelarne la falsa coscienza. Nessuna sudditanza è possibile. Il pacifismo che circola nelle nostre strade assai di rado solleva le proprie bandiere di fronte alle dittature. E’ incline ai distinguo, al riconoscimento delle particolarità che spesso tutelano vecchie satrapie e nuovi poteri armati. Vive un intollerabile senso di colpa nel sentirsi occidentale. Un nuovo ordine mondiale, come giustamente sostiene Rino Formica, non può fondarsi sulla negazione del conflitto. Deve viceversa esercitarsi sulle novità. E la contraddizione del nostro tempo non è solo fra nord e sud, non è costruita attorno all'esplodere della Cindia, non è intricata nel tema del benessere dell'Occidente che fa i conti con la riduzione delle risorse. Oggi la principale contraddizione mondiale passa attraverso la guerra al terrorismo, all'affacciarsi di un nuovo potere ideologico, militare, religioso che sta insanguinando, provenendo dal vecchio secolo, il nuovo Millennio.
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