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L’Ungheria resta ai socialisti / Corriere della Sera

Date: 24/04/2006
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Il partito del premier Gyurcsany rivince le elezioni parlamentari____________ L’Ungheria resta ai socialisti Fiducia al «miliardario rosso» ______________ DAL NOSTRO INVIATO BUDAPEST - Il ballottaggio consolida la vittoria del centro-sinistra, impreziosisce l’ascesa del «milionario rosso» Ferenc Gyurcsany e consente al partito socialista di bissare, aumentando il numero dei parlamentari, il successo ottenuto nel 2002. Un fatto inusuale per l’Ungheria e in generale per i Paesi dell’ex blocco socialista dove tutti i governi in carica sono stati regolarmente bocciati dagli elettori, fatta eccezione negli anni ’90 per il ceco Vaclav Klaus, oggi presidente della repubblica. Il conservatore Viktor Orban, leader della Fidesz, che si è subito congratulato al telefono con il vincitore, subisce nel giro di quattro anni una seconda, bruciante battuta d’arresto che potrebbe seriamente comprometterne (non si sa se terrà fede al proposito di lasciare la guida del partito) le fortune politiche. I socialisti conquistano 190 dei 386 seggi in parlamento che sommati ai 20 ottenuti dagli alleati liberali favoriscono la riedizione dell’attuale maggioranza ma su basi più solide. Alla Fidesz vanno 165 seggi e agli ex partner del Forum democratico undici. L’affluenza alle urne ha superato il 61 per cento, un dato tutto sommato non trascurabile, trattandosi del secondo turno e in tempi di marcato assenteismo, a riprova di com’è stata sentita la consultazione da parte dell’elettorato, incerto se privilegiare l’audacia del manager di successo che promette un’Ungheria moderna, competitiva, ancorata a doppia mandata all’Europa o promuovere il candidato nazionalpopulista che ha giocato la maggior parte delle sue azioni nella difesa dello Stato sociale. Quarantaquattro anni, sposato con quattro figli, una laurea in economia e commercio e un passato da dirigente della gioventù comunista, Gyurcsany ha fatto fortuna con le privatizzazioni all’indomani della caduta del regime comunista. In poco più di un anno e mezzo è riuscito a ringiovanire e rivitalizzare un partito socialista in caduta libera e che arrancava nei sondaggi dietro a una Fidesz che sembrava allora irraggiungibile. Campione di liberismo e seguace di Tony Blair, ha detto di volersi adoperare subito per sanare le lacerazioni prodotte da una campagna elettorale aspra e intrisa di veleni che ha spaccato in due il Paese: «È la vittoria della responsabilità. Proseguiremo con decisione sulla strada dei cambiamenti». Lo attendono compiti e scadenze cruciali: una drastica riduzione del deficit, sollecitata con vigore da Bruxelles, per adeguarsi ai criteri di Maastricht e traghettare nei prossimi anni l’Ungheria nella zona euro e la realizzazione di una serie di riforme, in primo luogo quella della sanità, non più dilazionabili. La strategia di Orban, concentrata sulla previsione di un’Ungheria sull’orlo della bancarotta, con una disoccupazione alle stelle e le imprese in ginocchio in caso di vittoria socialista, non ha funzionato. Come del resto la mossa dell’ultima ora: la disponibilità a rinunciare alla candidatura a primo ministro se gli ex alleati del Forum democratico avessero segnato un patto di desistenza nei ballottaggi a favore dei candidati della Fidesz. Ma dagli ex alleati, che non dimenticano i tentativi di Orban di frantumare il Forum e assorbirlo nella Fidesz, è giunto un categorico rifiuto.

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