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Il ministro Caldoro: sono pronto a dimettermi /Corriere della Sera

Date: 19/09/2005
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Il ministro Caldoro: sono pronto a dimettermi «La Cdl è in crisi, ma il centrosinistra sappia che non ci interessa fare i cespugli» l’Intervista MILANO - «Mi sono già dimesso una volta. Non avrei problemi a farlo di nuovo, se il congresso del mio partito me lo dovesse chiedere». Stefano Caldoro è l’unico ministro del Nuovo Psi nel governo Berlusconi, ha la responsabilità dell’Attuazione del programma e condivide «totalmente» la linea indicata da Gianni De Michelis. Signor ministro, siamo alla rottura anche sul fronte istituzionale? «Io ho un incarico istituzionale, appunto, da portare a termine. Ma registro che, dal punto di vista politico, si sta esaurendo il rapporto con la Cdl nato nel 2001». Pentito della scelta fatta allora? «No, anzi. Quella fu una decisione coerente e non innaturale, come qualcuno ci rinfacciò. Ma oggi le condizioni sono mutate e noi siamo un piccolo partito che deve portare avanti l’eredità politica di Bettino Craxi. Dobbiamo perseguire l’unità socialista». Cosa rimproverate al centrodestra? «Esiste una crisi politica della Cdl che prescinde da noi. Certo, il diktat del quattro per cento ci suona non tanto come accorgimento tecnico, quanto come esclusione politica. È un furto di seggi ma soprattutto di identità: non accade in nessun altro Paese che una legge con un impianto di coalizione preveda lo sbarramento ai partiti». Pronto a dimettersi? «Se lo deciderà il prossimo congresso del Nuovo Psi. Del resto, lo avevo già fatto in tempi non sospetti condividendo una linea con l’Udc, cui ancora oggi siamo legati in un certo percorso di critiche e dubbi sulla coalizione». De Michelis pone all’Unione alcune condizioni. Le sue quali sono? «Sempre identità e autonomia, è ovvio. E diciamo allo Sdi che non stiamo rinnegando quanto fatto con la Cdl: la riforma Biagi sul lavoro e quella per l’istruzione e l’università, ad esempio, sono scelte che hanno molta parte dell’impianto socialista e di cui siamo fieri». Pronti al salto, insomma? «Pronti a discutere con l’Unione. Alla quale va mandato subito un messaggio chiaro: non ci interessano cespugli e soprattutto cespugli succubi di forze più grandi. La diaspora può tollerare soggetti deboli, ma se torniamo uniti dobbiamo essere forti e imporci. Con Prodi, De Mita e Rosy Bindi, per intenderci, teniamo le distanze». Ha qualche timore? «Beh, registro che purtroppo qualche dirigente dello Sdi pensa ancora che l’unità socialista sia soltanto una tappa in vista del partito unico. Noi abbiamo detto di no al partito unico nella Cdl e non vogliamo certo annegarci nell’Unione. Quindi, chi ha questa idea prospettiva se la può anche scordare». Il segretario dello Sdi Boselli insiste per recuperare un rapporto privilegiato con i radicali di Pannella, Boniver e Capezzone. Condivide la linea? «A livello personale chiederei una maggiore riflessione sui temi dell’etica moderna. Del resto, al referendum sulla fecondazione ho votato un solo sì. Ma questa è una posizione davvero personale». Gli elettori del vostro partito capiranno una eventuale svolta a sinistra? «Questo è l’unico punto su cui le due mozioni congressuali sono effettivamente differenti. Bobo Craxi dà per scontata una reazione che invece non è sicura: bisogna lavorare molto sulla base, spiegare le motivazioni di questa eventuale svolta e ottenere dalla coalizione le garanzie che i nostri elettori ci sollecitano». Stefania Craxi resta sulle sue posizioni e non condivide l’ipotesi di un ingresso nell’Unione dei socialisti. Per quale motivo, secondo lei? «Stefania Craxi difende con forza e coraggio una parte molto caratterizzante della battaglia di Bettino, quando ripeteva che "i comunisti, i socialisti se li mangiano a fette". In questa vicenda ci sono poi aspetti molto personali su cui non mi sento di addentrarmi: posso dire soltanto che il nostro obiettivo era e rimane quella stessa unità socialista che era stata disegnata e voluta da Bettino Craxi».

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