Date: 08/09/2005
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Pillitteri: basta ombrelli, socialisti uniti a sinistra MILANO - Ha un figlio consigliere comunale per Forza Italia e due nipoti con opinioni contrapposte su quale sia l’approdo più adeguato per chi si sente ancora socialista. A chi gli chiede - continuamente - come si esca dalle contraddizioni risponde tranquillo: «Dobbiamo staccarci dal nostro passato». Paolo Pillitteri, marito di Rosilde Craxi, sindaco-cognato della Milano da Bere degli anni ’80, giornalista e cinefilo, un cuore messo a dura prova dalle vicende personali e familiari di Tangentopoli, ripete il monito al figlio Stefano e ai nipoti Bobo e Stefania. L’immagine è efficace: «Quando c’è stato il disastro - spiega Pillitteri - ognuno di noi si è cercato un ombrello sotto cui sopravvivere. Qualcuno ha trovato quello di Berlusconi, altri hanno preferito lo Sdi, altri ancora i Ds. Ora è venuto il momento di chiudere tutti quegli ombrelli e riaprirne uno nostro, quello del socialismo craxiano in cui tutti ci riconosciamo». Rielaborare il lutto, insomma e trovare una nuova collocazione. Pillitteri indica anche quale, riprendendo quanto scritto ieri da Piero Ostellino sul Corriere : «Se la sinistra ci darà una prova di discontinuità rispetto al proprio passato, direi che è lì che possiamo far crescere il progetto di un socialismo riformista». In famiglia, la famiglia Craxi si intende, non tutti sono però d’accordo. «Sono legato ai miei ragazzi da un grandissimo affetto», premette Pillitteri. E poi: «È stata dura per tutti e sono momenti impossibili da dimenticare». Per dare l’idea di quel periodo e di che cosa abbia distrutto l’eredità di Craxi, Pillitteri sfodera metafore drammatiche: «Uno Tsunami, un Ground zero, una Shoah», ovvero quanto di più cruento è avvenuto negli anni recenti. Ma, dopo il tifone, l’attentato e l’olocausto, bisogna voltare pagina: «Oggi - insiste Pillitteri - c’è una fortissima richiesta di un’area che si ad un tempo socialista, democratica, liberale e laica. Ed è con questa esigenza che noi socialisti ci dobbiamo misurare». È il momento della seconda fase, insomma. Quella per cui Stefania Craxi pare meno pronta: «I ragazzi - risponde Pillitteri, continuando a chiamare «ragazzi» i nipoti ormai padre e madre di famiglia - hanno ciascuno le proprie ragioni. Probabilmente Stefania ha un astio più grande, perché ha un’impostazione fondata sulle emozioni, ha una forte caratura emotiva ed evocatrice della grande tragedia avvenuta». Ma? «Ma bisogna che anche lei riesca a rielaborare quanto avvenuto attraverso una rilettura politica». Un’altra immagine: «È finita l’era del muro del pianto. Bisogna prendere in mano zappa e vanga biblica per dissodare il campo». Il ragionamento politico di Pillitteri si estende a tutti, anche a chi durante i giorni difficili ha voltato le spalle a Craxi e alla sua famiglia, ha tradito affetti e smontato rapporti personali: «Certo, bisogna puntare alla riappacificazione, bisogna perdonare e ritrovarsi». Pillitteri ci crede davvero. Su questo tema ha quasi concluso un libro, che vorrebbe intitolare «L’estate del nostro scontento»: «Quando si parla di declino di una nazione - aggiunge - non ci riferiamo soltanto all’economia. Il declino è anche psicologico e comincia quando ci si ritrova ancora a parlare di piazza Fontana. Bisogna archiviare, andare oltre che non significa dimenticare: anche perché, sennò, ai nostri giovani che cosa possiamo offrire?».
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]