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«Ricostruiamo la sinistra» Bobo applaudito dai Ds /Corriere della Sera

Date: 06/09/2005
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Il figlio di Craxi alla Festa dell’Unità: non ho gioito per gli attacchi alla Quercia «Ricostruiamo la sinistra» Bobo applaudito dai Ds «Nell’Unione con Pannella. De Michelis si convincerà» MILANO - Il completo blu glielo ha scelto dal sarto la moglie Scilla. La cravatta di seta rossa anche. Quando arriva alla Festa nazionale dell’Unità, a Milano, Bobo Craxi è un elegante fascio di nervi. Teso, tesissimo. È la sua vera «prima volta» alla kermesse della Quercia. Per di più nella «sua» Milano. L’altra, sempre a Milano, si consumò diciannove anni fa, nel 1986, quando 22enne accompagnò Claudio Martelli a un confronto con Mussi. Ieri, però, è stato lui il protagonista di un duetto con il coordinatore della segreteria nazionale dei Ds Vannino Chiti. Ed era forte, in Bobo Craxi, il timore di una certa freddezza da parte della platea diessina. La paura di non essere capito, accettato. Peggio, di essere visto come l’ennesimo imbucato sul carro dei vincitori. Invece l’incontro, moderato da Ritanna Armeni, ha trovato toni concilianti. Niente fischi o dissensi. Quell’ora e mezza di chiacchierata è diventata il suo battesimo con il popolo della Quercia. Anche se ad applaudirlo, in prima fila, c’erano pure volti noti del socialismo, come lo zio Paolo Pillitteri e la giornalista Maria Giovanna Maglie. Ma anche dirigenti ed ex dirigenti locali del Nuovo Psi e dello Sdi. Tutti con la voglia di ricostituire il filo di una memoria comune, spezzato da Tangentopoli. Non è un caso se la parola che Bobo Craxi ha usato di più, nel suo intervento, è stata una sola: «Compagni». All’inizio, subito, un ricordo: «Tanti anni fa facemmo anche noi una festa del Psi alla Montagnetta». Ma erano altri tempi. Ora, è il momento di sancire lo strappo: «La Cdl non c’è più. Con loro non si può governare. Noi socialisti abbiamo il dovere di provare, dopo 13 anni, a perseguire l’unità a sinistra». Ora, è il momento dell’orgoglio: «Abbiamo dimostrato che il Psi non era una banda di malavitosi. Facciamo parte di diritto della grande famiglia del socialismo italiano. Come ha giustamente detto il compagno Fassino». Si ricomincia da lì, da quell’apertura del segretario ds all’ultimo congresso. Da quella riabilitazione di Bettino Craxi che pure ha fatto tanto discutere, ma che è stato il primo passo verso questo ricongiungimento con il centrosinistra. Che il figlio Bobo ieri ha ribadito: «Dopo il congresso si farà. E anche De Michelis si convincerà della cosa, ne sono sicuro». E la proposta di Stefano Caldoro del terzo polo? «Non esiste. L’obiettivo è l’unità». Chiti ha l’aria soddisfatta e parla di «ricomposizione dell’unità nella sinistra italiana». Poi, c’è anche il tentativo di sanare qualche ferita. Scherza Craxi, ma sottolinea il sacrificio personale: «Era dai tempi delle elementari che non ricevevo gli insulti incassati in questi giorni». Ancora: «Non mi sono beato del processo fatto ai Ds quest’estate sulla loro moralità». E Chiti, di rimando, su Tangentopoli: «Sì, i gruppi dirigenti di allora avrebbero potuto essere più generosi». Applaudono tutti: socialisti e diessini. Poi, il futuro. Che per Craxi passa attraverso l’accordo con i Radicali: «Fanno parte della sinistra italiana. Non a caso si chiamano compagni. Con Bonino e Pannella lavoreremo bene». Solo un accenno alle polemiche con la sorella Stefania: «Accompagnare Berlusconi nel suo declino o in barca a Tahiti non mi sembra una grande prospettiva politica». Sulla candidatura di Veronesi a sindaco di Milano per l’Unione: «Il problema dell’età esiste. Preferirei una personalità come Carlo Fontana». Il clima si stempera. L’esame sta per finire. A pochi minuti dallo scadere dell’incontro, a Bobo Craxi sfugge il primo sorriso. Ed è per il padre, Bettino, che lui non nomina mai. Fino a quel momento. E, sempre seguendo quel filo spezzato, lo associa a un ricordo di Enrico Berlinguer: «Il rapporto tra i due fu particolare. Nel 1980 a San Siro c’era un derby Inter-Milan: vinceva l’Inter due a zero. Ero seduto allo stadio con papà, di fianco a Berlinguer, che però tifava Cagliari. A un certo punto mio padre gli disse: "Enrico, ti debbo parlare". E Berlinguer, rivolto a me: "Vedi, non vuole farmi vedere la partita". Se ne andarono alla cooperativa di Lampugnano, tra gli stupiti compagni socialisti che giocavano a carte: fu l’incontro preparatorio delle Frattocchie».

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