Date: 16/05/2005
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lunedì 16 maggio 2005 DESTINI 2. PARTITI, BOLLE E IDENTITÀ. DI PEPPINO CALDAROLA Se la lista unitaria diventa bricolage politico vince Arbore: «meno siamo, meglio stiamo» Sta diventando una disputa piccina-piccina quella sulla lista unitaria alle politiche. Bisogna farla perché la vuole Prodi. Bisogna farla perché forse la fanno quelli là. Bisogna farla perché l'abbiamo detto nei congressi. Bisogna farla perché l'abbiamo fatta una volta e mezza (la metà alle regionali). Bisogna farla perché sennò Rutelli chissà dove va (ma dove volete che vada? Con noi resta). In pratica bisogna farla, senza troppe chiacchiere. Proviamo a ricapitolare. Prodi propose un anno prima delle europee la lista unitaria. D'Alema e Fassino gli dissero di sì immaginando uno scenario in cui il progetto elettorale prendeva la forma di un vero rivoluzionamento del sistema politico. Lista unitaria per dare vita, con gradualità, a un nuovo soggetto politico riformista. Il tempo in cui cadde la proposta di Prodi, e l'assenso condizionato dei vertici ds, vedeva Berlusconi con il vento in poppa, ma meno che nel 2001, e la proposta unitaria lavorava sulla possibilità di attrarre non solo l'intero elettorato riformista, ma anche quell'elettorato moderato deluso dalla Casa della Libertà. L'idea di un coordinamento riformista piacque. Rutelli, allora leader fragile della Margherita, pose la questione della non transitorietà del suo partito, la sinistra ds ebbe gli stessi timori, molti parlarono a vanvera del pericolo di un partito unico che nessuno aveva proposto. Prodi si barcamenò. Un po' tirò dalla parte del rassemblement riformista, un po' guardò con maggiore attenzione all'Unione. Dopo le europee, nel giro di due settimane, il candidato premier del centro-sinistra lanciò entrambi i messaggi. I suoi teorici, in primo luogo Parisi, tolsero prospettiva alla lista unitaria. Il tema del soggetto riformista, raccontò il principale spin doctor del professore, andava collocato molto al di là nel tempo e nel suo lontano punto d'arrivo aveva come traguardo la fuoriuscita dei Ds dall'Internazionale socialista. Per i Ds non si trattava di questo. Nel congresso recente di Roma, Piero Fassino rivendicò e motivò la natura socialista del suo partito, e si dichiarò disponibile a mettere a disposizione questa identità, faticosamente ribadita, solo a condizione che il progetto riformista portasse a un soggetto unitario. La fusione di più culture entro un'unica formazione politica poteva prevedere che ciascuna di essa rinunciasse al proprio primato. Per qualche tempo si parlò, ma non lo fece Fassino, del futuro soggetto politico (per carità, mai chiamarlo partito!) come del partito di Prodi. Oggi ci troviamo di fronte a uno scenario interamente cambiato. La Destra rischia uno smottamento elettorale senza precedenti. Finisce con Berlusconi la fase del rapporto stretto, persino identitario, fra coalizione e leader. Il centro-destra e il centro-sinistra cercano una nuova fisionomia. Sarà solo la politica nei prossimi anni a ridefinire il nuovo sistema politico prima ancora che intervengano leggi elettorali o riforme istituzionali. In questo quadro futuro il tema della lista unitaria va motivato con argomenti meno legati a quella serie di "bisogna… bisogna" che abbiamo elencato all'inizio. Innanzitutto Prodi dovrebbe dire dove vuole portare l'area riformista. Stiamo entrando nella fase dei pensieri lunghi. La Destra di Bush non ha smesso di pensare al mondo e, guardando al mondo di domani, rilegge persino il passato del proprio paese (Yalta e dintorni). La sinistra radicale ridefinisce con il pacifismo, la cultura no-global e il neo-statalismo il suo comunismo liberato dagli orrori. E i riformisti? Stiamo parlando di processi mondiali. A Prodi è legittimo chiedere a quale pensiero lungo si ispira e a quali correnti politiche che nel mondo si organizzano vuole aderire o promuovere? Non c'è il centro-sinistra in una paese solo. Ragionamento analogo può farsi per Rutelli, non più fragile leader, e il suo stato maggiore. Va bene ragionare sull'idea che una Margherita che corre separata può prendere parte dell'elettorato in fuga dalla Destra ( a è legittimo immaginare che anche i Ds siano in grado di farlo), va bene immaginare una parte moderata che sia collaborativo-competitiva con l'altra famiglia riformista rappresentata dai Ds per contenere l'aggressività della sinistra radicale. Va bene tutto. Ma non viene a Rutelli in mente che il progetto a cui lavora, nell'ipotesi migliore, sarà solo una bolla elettorale? Nessuno pensa che il leader della Margherita voglia rifare la Dc. Accettiamo l'ipotesi che ci sia spazio per qualche tempo per una forza moderata liberal-cattolica che punta all'egemonia nel centro-sinistra. A chi parla? Quali sono i suoi referenti sociali? Qual è la sua cultura? A quale famiglia internazionale si aggrega? L'idea politica (la Margherita sta nel centro-sinistra ma corre da sola) è suggestiva, ma è di breve periodo. Alle prime difficoltà, alle prime tensioni, la fragilità dell'impianto la espone al crollo strutturale. Non basta dirsi moderati per rappresentare la necessità storica della presenza dei moderati in questo paese e nell'area di centro-sinistra. Altra cosa sarebbe se la Margherita si facesse promotrice di quell'ipotesi (che a me non piace) di nascita del partito democratico all'americana che darebbe al progetto uno spessore culturale e una affiliazione internazionale. I Ds sono una formazione socialista. Possono attrarre gran parte della diaspora socialista. Stanno nelle multicolore famiglia dell'Internazionale socialista. Rappresentano quella sinistra che vive nel solco di una tradizione socialdemocratica di civilizzazione e di umanizzazione del capitalismo con una piena accettazione del mercato a cui accompagna alcune scelte di fondo: la parità delle opportunità di vita e di progetto, la sistematica espansione delle libertà civili, il ruolo attivo di politiche pubbliche che correggano le ingiustizie del mercato e che soprattutto orientino la società verso grandi obiettivi. Questo socialismo è pacifico, ma accetta, a certe condizioni, l'uso della forza. E' in Occidente, è l'Occidente, ma non crede che la via d'uscita dalle dittature (che vanno combattute attivamente) sia l'americanizzazione del mondo. Se i Ds sono questo, il tema della lista unitaria va proposto a partire da questa identità. Si può metterla in gioco, ma la posta deve essere alta, altissima, non un bricolage politico. Altrimenti, ha ragione Renzo Arbore, «meno siamo, meglio stiamo».
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]