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Gli ex socialisti craxiani La tentazione della fuga dal Polo / Corriere della Sera

Date: 08/04/2005
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Gli ex socialisti craxiani La tentazione della fuga dal Polo De Michelis: «Due volte sotto le macerie no. Dopo la caduta di Craxi non voglio essere ancora orfano». Boniver: resto col premier STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO ROMA - Undici regioni all’Unione e solo due alla Cdl. Chiudendo gli occhi, in molti hanno rivisto lo stesso film. Il film della caduta di Bettino Craxi, quell’horror che i socialisti passati a Forza Italia avevano per il momento cancellato. Così, a qualcuno è tornato il complesso dell’orfano e a qualche altro l’incubo del terremotato, perfettamente sintetizzato nel mantra di Gianni De Michelis: «Due volte sotto le macerie no». Gianni De Michelis (foto Liverani) Due volte sotto le stesse macerie? «È quel che dice chi si appresta a passare dall’altra parte. Io, dall’altra parte, non andrò mai» replica un Fabrizio Cicchitto, socialista e vicecoordinatore di Forza Italia, determinato a restare in trincea. «Dieci anni fa io ho assistito a un crollo vero. E siccome allora nessuno ha combattuto, tutti sono scappati, da allora ho una sola convinzione: di fronte alla sconfitta non si scappa. Perché c’è sempre la possibilità di trasformare la débâcle in vittoria e perché bisogna fare il contrario di quel che si fece nel ’92». Tra incubi di fughe di massa e terremoti, i socialisti mantengono, comunque, tutti, il senso delle dimensioni. De Michelis, per esempio, riconosce che le macerie di questa sconfitta berlusconiana son solo elettorali, nulla per il momento evoca il fosco clima di monetine contro l’uomo che usciva dall’Hotel Raphael e nemmeno quello scenario da «piazzale Loreto» dipinto un anno fa da un preoccupato Fedele Confalonieri. Però... «Però, dopo il risultato delle Regionali, la riflessione c’è e pure quell’inquietudine che accompagna l’idea di rimanere orfani per la seconda volta - riflette De Michelis. La prima volta accadde per mano della magistratura. Stavolta succederebbe per l’inconsistenza di Forza Italia e per questo folle sistema elettorale che induce gli elettori a votare contro. Soltanto contro». Come capita a chi ha subito un grave trauma e, al riproporsi di condizioni vagamente assimilabili, reagisce con un sovrappiù di sensibilità, così i socialisti trasmigrati nella Cdl confrontano il crepuscolo del craxismo con la tremenda delusione subita il 4 aprile. Come s’è detto, distinguono. Nel ’92, riconoscono coralmente, il craxismo finì per mano dei giudici e invece il 4 aprile la botta d’arresto, o l’inizio della fine (a seconda dei punti di vista), è venuta per volontà popolare. C’è chi attribuisce la sconfitta elettorale a Fini e Follini: Stefania Craxi, per esempio. «Con le loro critiche hanno svilito il carisma di Berlusconi» accusa la figlia di Bettino Craxi. C’è chi, invece, nella sconfitta elettorale coglie un ulteriore limite di Berlusconi. Bobo Craxi, per dire: «I socialisti, almeno, un crollo non l’hanno mai avuto. Nel ’92 il Psi incassava ancora cinque milioni e mezzo di voti». Paradossalmente, Giuliana Del Bufalo, socialista e amica di Craxi, oggi alto dirigente a viale Mazzini, vede nella sconfitta alle Regionali un elemento di rassicurazione. «Neanche per un attimo, in questi giorni, ho vissuto l’incubo del ’92. Ammesso sia stata scritta la parola fine di un’esperienza politica, e non lo credo affatto, sarebbe stata comunque scritta dalle urne e non da un magistrato. La situazione è diversa ed è cambiata proprio per la discesa in campo di Berlusconi ». No, il mantra di Gianni De Michelis, «mai più sotto le stesse macerie» non aggancia neppure Margherita Boniver, oggi sottosegretario agli Esteri di Berlusconi e negli anni Novanta fiera sodale del Craxi in disgrazia: «Intanto, la caduta elettorale è recuperabile, certissimamente recuperabile. Se si osserveranno alcune condizioni, si capisce. Poi, non intravedo ancora il fuggi fuggi che accompagnò la caduta di Bettino». Scricchiolii sì, riconosce il sottosegretario agli Esteri, forse pensando ai due ex socialisti milanesi, Roberto Caputo e Pietro Accame, che da Forza Italia sarebbero già migrati verso la Margherita, ma intanto la Boniver si prepara alla campagna elettorale per le Politiche 2006, «spero che Berlusconi me la faccia fare accanto a lui». La campagna elettorale, già. Don Gianni Baget Bozzo, per dire, virtualmente immerge il suo unto dal Signore in quotidiani bagni di folla, giacché, analizza, «è questa la vera differenza tra lui e Bettino Craxi. Craxi era isolato, nemmeno il suo Psi lo seguiva. Era un grande leader di partito. Solo. Berlusconi, invece, ha dietro il popolo». Un consenso ammaccato, riflette l’ottantenne genovese, è pur sempre un consenso. E poi «Berlusconi è diventato un simbolo, toccarlo sarebbe toccare la libertà. Confermerebbe che mentre lui ha creato l’alternanza, con gli altri l’alternativa non ci sarebbe più. Un ferreo controllo del consenso, ecco cosa ci sarebbe se vincesse la sinistra — si inquieta Baget — un leninismo dolce, l’emilianizzazione dell’Italia, dal Consiglio di Stato ai giornali. Tutto sotto tutela». In fondo, è proprio questo, quello descritto da Baget Bozzo, lo scenario che turba l’animo del socialista diventato forzista. Più che l’incubo del terremotato, evocato dal mantra di De Michelis, si paventa la morsa di un potere esteso e d’acciaio. Affinità elettive: è lo stesso scenario dipinto da Berlusconi nell’ultima intervista a Panorama. Maria Latella

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