Date: 05/02/2005
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Prodi e D'Alema hanno parlato di una sola forza "socialista, laica, cattolica, ambientalista" Il matrimonio dei riformisti: l'increbile al congresso dei Ds di MASSIMO GIANNINI Fassino e Prodi al terzo Congresso nazionale dei Democratici di Sinistra ROMA - L'incredibile è accaduto alle 12 e 36, quando Prodi è salito sul palco e ha esordito: "Care amici, cari amici, care compagne, cari compagni...". L'indicibile è stato detto alle 14 e 22, quando D'Alema ha concluso il suo intervento: "D'accordo, non è all'ordine del giorno, ma nessuno può impedire a qualcuno di coltivare la speranza che, nel tempo, l'abitudine a lavorare insieme possa far crescere una sola forza riformista, socialista, laica, cattolica, ambientalista". Così, nel secondo giorno del congresso dei Ds, ha preso finalmente corpo il "fantasma". Quello che nel centrosinistra fa paura a molti. Ma che invece è il solo sbocco possibile e credibile di una lunga storia di elaborazione politica e di contaminazione culturale. Il partito unico dei riformisti. La vera, grande novità che arriva dal Palalottomatica è questa. Ed era destino che questa novità la rilanciassero, con forme e con accenti diversi, i due leader che per primi hanno ideato e condiviso il progetto della Federazione unitaria. Non come semplice "cartello elettorale". Ma come "embrione" di qualcosa di più ambizioso, di più coinvolgente e più importante, come sostiene Giuliano Amato. D'Alema può parlare a viso aperto della "casa comune dei riformisti", con il linguaggio da "combattente, a volte anche un po' ruvido" che gli è proprio. Prodi non può usare in esplicito lo stesso linguaggio. Ma con quel "compagne e compagni" offre la conferma implicita che ormai persino un cattolico ex democristiano come lui è pronto a riconoscersi in una forza politica molto più ampia, che fuori dall'Italia ruota intorno all'asse del socialismo europeo. Le radici ci sono, ma sembrano sempre più intrecciate. Come quello di Fassino all'apertura del congresso, il discorso di Prodi non infiamma i cuori. Ma cerca di mettere in moto i cervelli. La piattaforma programmatica del Professore ricalca pedissequamente quella indicata dal segretario diessino due giorni fa. Europa, crescita, Welfare, coesione sociale, Sud, ambiente, legalità. La ricetta è la stessa. Fassino ha insieme la generosità ma forse anche il torto di stendere una coperta troppo grande, che tutto copre e in cui troppo si tiene, equità e ricchezza, sorvolando sulle compatibilità politiche e sulle disponibilità finanziarie. Prodi ha insieme l'onestà intellettuale ma forse anche il limite di mettere il Paese davanti allo specchio delle sue miserie, declino economico e irrilevanza geostrategica, rinunciando a proporre un futuro tra "verdi vallate" di andreattiana memoria da contrapporre comunque al "sogno permanente" che Berlusconi continua a spacciare agli italiani. Nel complesso, dalle forze di opposizione riunite intorno al suo partito più forte e al suo candidato premier emerge la volontà comune di offrire un'alternativa seria e affidabile non solo per vincere le elezioni, ma soprattutto per governare un Paese sfibrato da tre anni di berlusconismo arrembante. Le premesse ci sono tutte. Ne è un indizio palese la sorprendente inversione di ruoli che si è prodotta in questi due giorni tra maggioranza e opposizione. Al Palalottomatica un centrosinistra spesso ripiegato in un'ossessione antiberlusconiana ha parlato pochissimo del Cavaliere. Prodi e D'Alema, forse in tacito accordo, sono riusciti persino a non nominarlo mai nei loro interventi. Al Palazzo dei Congressi, invece, un centrodestra livoroso e a corto di idee, riunito in un Consiglio nazionale azzurro messo in piedi con l'unico scopo di oscurare il congresso diessino, non è riuscito a parlare d'altro che di "comunisti", assassini della libertà "ancora pericolosi". Persino un ministro abitualmente responsabile come Pisanu, evidentemente indottrinato dal Capo, è riuscito a dire che l'opposizione coltiva "senza confini la violenza e l'eversione". Provocazioni volgari, insinuazioni insensate, che tuttavia rendono bene l'idea di chi siano davvero i moderati in Italia. Prodi e la Quercia fanno bene a non raccogliere queste accuse vergognose. Ormai incarnano davvero lo stesso riformismo. Al di là dei contenitori e delle formule, al di là del nome della Cosa e delle primarie. Il Professore fa di tutto per rassicurare i cattolici sulla totale affidabilità politica dei Ds: "Siete un grande partito, nulla sarebbe possibile senza la vostra passione, la vostra intelligenza...". D'Alema fa di tutto per rassicurare i diessini sulla completa omogeneità culturale del Professore: "Avete ascoltato tutti le parole di Romano: sono sicuro che tanti tra noi pensano che le sue idee non sono solo una buona base per governare il Paese, ma fanno parte a pieno titolo di quella sinistra nuova per la quale vogliamo batterci...". Tutti e due fanno di tutto per rassicurare le ali più estreme dello schieramento. La Fed prima, e poi ancora di più il partito unico dei riformisti, ha anche questo di buono. Se mai un giorno vedrà la luce, sarà una svolta identitaria che aiuterà, da sola a riequilibrare e a ridefinire i rapporti a sinistra. Ad uscire da una sindrome del vecchio Pci: "Pas de enemies a' gauche". Nei prossimi mesi, come ripete D'Alema, si capirà quanto sarà possibile tessere questa tela. Ma è certo che la federazione ulivista, come baricentro, timone e motore del riformismo del centrosinistra, ha un senso solo in questa prospettiva. E soprattutto in questa prospettiva i riformisti oggi all'opposizione possono ambire a tornare stabilmente al governo del Paese, dando agli italiani quel messaggio rassicurante, da forza tranquilla, capace di una vocazione autenticamente maggioritaria. Risolvendo così un'altra sindrome del vecchio Pci, che forte del suo 34,4% nel 1976 sapeva ugualmente che per governare l'Italia non gli sarebbe bastato neanche il 51%. I timori non mancano. Storie personali, idealità collettive. Ma l'impressione è che lo stato di avanzamento del progetto sia già sufficientemente maturo tra gli elettori, pronti ad accettare la sfida dell'unità. Molto più di quanto non lo sia tra gli eletti, ostinati a condurre la battaglia per l'autoconservazione. Dovrebbe imporsi la forza delle cose. E dovrebbe imporsi soprattutto la forza della ragione, alla quale tutti gli uomini, come diceva il Galileo di Brecht, "alla lunga non sanno resistere". Ma le resistenze non mancheranno. E allora il riformismo del centrosinistra, alla fine, si misurerà nei fatti, molto più che nelle parole. Nelle decisioni politiche della coalizione, molto più che nelle enunciazioni di principio dei suoi leader. Tante volte li abbiamo sentiti predicare riformismo e poi razzolare radicalismo. Troppe volte li abbiamo visti cedere, anche in Parlamento, di fronte ai diritti di veto o di ricatto di una sinistra d'opposizione orgogliosamente minoritaria. Sulla politica estera, apre il cuore sentire Fassino e D'Alema, Prodi e Amato, salutare come "eroi" o come "veri resistenti" quegli 8 milioni di iracheni che hanno sfidato il terrorismo votando domenica scorsa. Ma al dunque quello che conterà sarà il voto dell'opposizione sul rifinanziamento della missione italiana in Iraq. Sulla politica interna. fa piacere sentire i dirigenti dell'Ulivo che dichiarano finita l'illusione della "crescita garantita" e archiviata la fase del semplice rivendicazionismo redistributivo. Ma alla fine bisognerà decidere: competitività industriale, d'accordo, ma a spese di chi, con quali risorse e con quali politiche? Fa piacere sentir parlare di "nuovo Welfare, motore dello sviluppo", di "fisco come impegno etico", perfino di quasi craxiani "meriti e bisogni". Ma alla fine bisognerà pur scegliere: protezioni sociali, d'accordo, ma di nuovo, a spese di chi, con quali risorse e con quali politiche? Ancora, mentre Bertinotti rievoca il gosplan, è confortante ascoltare un altro centrosinistra che parla di libero mercato e di concorrenza in tutti i settori, dalle banche all'energia, dal commercio alle professioni. Ma in definitiva si tratterà di vedere quali leggi saranno proposte, per scardinare davvero tutte le rendite monopolistiche. Comprese quelle di natura corporativa e sindacale. Il riformismo del centrosinistra sarà credibile se avrà gambe sulle quali reggersi e camminare. La federazione, e in prospettiva il partito unico dei riformisti, lo sono. Con un po' di coraggio, se ne possono convincere anche i cattolici democratici della Margherita, che nei prossimi mesi saranno chiamati a riflettere sulla "speranza" evocata da D'Alema. Con quel po' di serenità che gli deriva dall'aver ricostruito e riconquistato il suo partito, se ne può far carico apertamente anche Fassino, che nella sua replica di oggi ha l'occasione per fare un passo più deciso in questa direzione. È stato efficace, nel suo discorso d'apertura, quando ha rivendicato puntigliosamente le "fonti" del riformismo. Poi ha citato Platone: "Non siamo nati soltanto per noi soli...". Bella frase. Efficace. Ma il richiamo filosofico evoca quasi automaticamente un rischio politico: che il centrosinistra si condanni, un'altra volta, a cullarsi nel "riformismo platonico". Sempre inseguito. Sempre idealizzato. Ma mai concretamente praticato. (5 febbraio 2005)
[Artchivio/_borders/disc2_aftr.htm]