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La Rifondazione Socialista e lo schema delle tre sinistre / da Liberazione

Date: 17/11/2006
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Si riavvia un dibattito che non potrà non animare il percorso della Sinistra europea --------- La “Rifondazione socialista” e lo schema delle tre sinistre --------------- Salvatore Cannavò C’è un fatto politico interessante che sta attraversando la politica italiana senza che questa, forse, se ne sia pienamente resa conto. Il fatto è che dopo quindici anni la questione socialista, il riferimento al socialismo e l’obiettivo di ri/costruire una forza politica così denominata, è uscita dalle acque torbide in cui l’esperienza del Psi l’aveva abbandonata. Stiamo cioè assistendo al ritorno di un riferimento politico e culturale che ha costituito l’esistenza stessa del movimento operaio occidentale, comprendendo in questo anche il movimento in America latina. Ma, e qui sta il fatto nuovo e importante, questo ritorno avviene dentro i movimenti di scomposizione e ricomposizione in atto a sinistra e con un processo che riguarda da vicino anche l’esperienza stessa della rifondazione comunista che si è aggrumata ed espressa nelle vicende del nostro partito. I fatti sono più o meno noti. Il più noto di tutti è l’iniziativa intrapresa all’interno dei Ds dall’ex correntone che sta contrastando il progetto del Partito democratico proprio con l’ambizione di mantenere in vita una forza dichiaratamente socialista, “in Italia e in Europa”. E del resto, uno dei pezzi fondativi di quel soggetto, l’area di Cesare Salvi, da diverso tempo fa riferimento proprio a quel simbolo chiamandosi non a caso “Socialismo 2000” (e sull’ancoraggio al socialismo europeo, versione di sinistra, lo stesso Salvi scrisse il libro “La rosa rossa” alcuni anni fa). A giudicare dal successo del meeting dello scorso sabato e dall’ampliamento alla corrente laburista di Valdo Spini, corrente proveniente proprio dall’ex Psi, quel riferimento simbolico inizia a creare un certo movimento anche all’interno dei Ds. Nei quali si va affermando un’area di contrasto al progetto del partito democratico proprio in nome della necessità di mantenere in vita il riferimento socialista (parliamo di Angius e Caldarola). A riprova delle novità, però, ci sono anche altri micromovimenti che ai più sono sfuggiti. Come ad esempio un articolo di Mauro Del Bue apparso sul Riformista in cui l’ex colonnello craxiano e oggi sobrio dirigente del nuovo Psi, quello di De Michelis per intenderci, si diceva interessato al processo avviato da Mussi e compagni e pronto a confrontarsi sul merito della nuova prospettiva politica. Così come è poco noto che diversi esponenti dello Sdi, partito che sta consumando un doloroso divorzio dai radicali e che paga lo scotto dell’esperienza della Rosa nel Pugno, guardano anch’essi con attenzione a questi movimenti a sinistra memori del fatto che “riformisti e massimalisti” storicamente hanno già convissuto all’interno dello stesso partito. Infine, e questo ci riguarda più da vicino, va segnalato il documento redatto da Uniti a Sinistra, Associazione Rossoverde e Associazione per il Rinnovamento della Sinistra che propone alla Sinistra europea di assumere il riferimento a un “nuovo socialismo” con l’obiettivo di «superare le tradizioni delle famiglie del socialismo europeo, la storica divisione tra comunisti e socialdemocratici, tra antagonisti e riformisti» e quindi con l’ambizione di creare «un nuovo soggetto unitario» a partire dalla necessità di un confronto che «deve investire il Partito del socialismo europeo e i sindacati europei». Movimenti sussultori, dunque, frutto di un rimescolamento di carte che sta per avvenire e frutto anche di calcoli in relazione al governo Prodi e alle sue chances di successo. Movimenti tuttavia interessanti perché indicano una direzione di marcia che ha effetti sul movimento operaio esistente e che ha ricadute anche su quella che impropriamente è stata ormai definita la sinistra radicale; pensiamo, ad esempio, alla suggestione per un Partito laburista - certamente non in versione blairiana ma piuttosto brasiliana - che viene da importanti esponenti del sindacato, come la Fiom. Questa “rifondazione” potenziale affonda le sue ragioni certamente nell’esistenza, articolata e non priva di contraddizioni, del socialismo europeo, lo stesso a cui Fassino vorrebbe far aderire il nuovo Partito democratico (trovando, ieri, il consenso di De Michelis…) ma anche quello in cui convivono o hanno convissuto personalità come il socialista francese Fabius - impegnato contro la blairiana Royal e il tecnocrate Strass-Khan, nella corsa per le presidenziali francesi - o il tedesco Lafontaine, storico dirigente della Spd e oggi impegnato nella costruzione di Die Linke, la sinistra tedesca nata dalla fusione tra la Pds - il partito proveniente dalla ex Sed - e l’alleanza social-sindacale Wasg. Si tratta di un socialismo che propugna la redistribuzione del reddito senza mettere in discussione il sistema capitalista, che si dichiara pacifista ma che guarda con favore al nuovo multilateralismo portato avanti da D’Alema, che punta all’unificazione europea su basi di eguaglianza e solidarietà. Che ha come orizzonte il compromesso sociale venato da un antiliberismo sia pure articolato e che punta a una rappresentanza piena e diretta del movimento operaio organizzato, quindi con un rapporto privilegiato con le grandi organizzazioni sindacali. Allo stesso tempo non può essere sottovalutato un altro riferimento politico-simbolico che ha contribuito non poco a far riemergere il tema del socialismo sia pure declinato nella sua versione più radicale. Parliamo qui del “socialismo del XXI secolo” evocato dal presidente venezuelano Chavez e che anima gran parte del dibattito della sinistra latinoamericana in forme molto più radicali e anticapitalistiche di quanto si possa riscontrare nel dibattito europeo. Chavez ha contribuito in forma rilevante, per la possenza del suo messaggio e per l’ascolto che l’esperienza bolivariana riscontra su scala internazionale, a presentare il socialismo nuovamente nella sua accezione originaria, come movimento di liberazione degli oppressi e di emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici. Una svolta nel linguaggio e nei riferimenti simbolici che è piombata in occidente, e in Europa in particolare, grazie all’esperienza dei Social forum e del movimento antiglobalizzazione. Qui c’è il canale di comunicazione tra due mondi in fin dei conti distanti e anche da qui proviene la possibilità di parlare, a sinistra con un linguaggio di sinistra, nuovamente di socialismo. E questa è la ragione per la quale un simile tema ci può riguardare da vicino. Va detto che nel nostro partito abbiamo già sentito rievocare il “riformismo rivoluzionario” di Riccardo Lombardi come tema possibile di una ricomposizione della sinistra antiliberista e lo stesso Bertinotti si è detto interessato al tema del nuovo socialismo. Ma al di là del fascino o dell’interesse che si può mostrare per l’intero percorso - che riguarderebbe un dibattito interno al Prc e che non costituisce l’oggetto di questo articolo - il punto è che quel processo spinge la rifondazione comunista a definirsi maggiormente. A meno di non credere davvero che la storica divisione tra comunisti e socialisti è ormai venuta meno, i comunisti, o meglio il processo di rifondazione comunista ha bisogno di riprecisarsi. Senza cadere in nostalgismi e senza discutere con la testa rivolta al passato, il punto dirimente non può che essere ancora il nodo di partenza, la sostanza sulla quale comunisti e socialisti si sono divisi, il diverso rapporto con il sistema capitalista, il rapporto con il grande tema delle “riforme”, il nodo della guerra e, tutto sommato, l’idea stessa che vogliamo avere della rivoluzione. Insomma è la storica dicotomia tra “riformisti” e “rivoluzionari” che si arricchisce di nuovi elementi e la stessa geografia della sinistra che muta. Se questi riferimenti rimangono intatti, e se quindi quella storica divisione vive ancora, allora forse il paesaggio politico italiano si arricchisce e dalle due sinistre con le quali abbiamo convissuto finora si può oggi parlare di tre sinistre, inserendo impropriamente in questa categoria ancora il Partito democratico. A meno di non voler restare al punto delle due sinistre pensando che accanto al partito democratico possa costituirsi una vasta e plurale sinistra antiliberista che ricomponga il processo della rifondazione comunista con quello della rifondazione socialista. Lo schema delle tre sinistre, se accettato e sviluppato, chiama certamente in causa un nuovo modello di unità d’azione - in parte sperimentato il 4 novembre anche se poi inficiato dall’improvvido ritiro della sinistra Ds - ma non elimina la necessaria “competizione”. Quello che c’è di positivo è che si riavvia un dibattito, un confronto e si ritorna a parlare di grandi scelte e di grandi orizzonti. Ben sapendo che si tratta di grandi scelte che non possono essere solo scolpite nei programmi fondamentali o nelle grandi strategie ideali ma che sono sottoposti a verifica nell’azione quotidiana. E’ un dibattito che non potrà non animare il percorso della Sinistra europea, che riapre una nuova fase della rifondazione comunista e che spiega anche perché quella vecchia si è ormai chiusa.

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