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L’avversione nei confronti di Di Vagno si era
manifestata in forma violenta nel Consiglio Provinciale
di Bari per le sue denunce, assieme a Gaetano Salvemini, delle lentezze
dell’azione amministrativa, dei ritardi nell’ultimazione dei lavori
dell’Acquedetto pugliese e del trasformismo della classe dirigente. I
suoi interventi antimilitaristi, a favore della pace provocarono la
reazione dei più accesi nazionalisti.
Il gran successo elettorale nel maggio del ’21 (ottenne dopo Vella il
maggior numero di voti nella lista dei socialisti unitari) fece scattare
la caccia all’uomo da parte dei suoi nemici.
All’indomani della feroce esecuzione, in una lunga lettera all
"Avanti!" Di Vittorio denunciò le responsabilità di
Caradonna e del fascismo pugliese, citando alcune affermazioni
dell’esponente politico di Cerignola "che, egli, Caradonna, se ne
fregava del socialismo di Bonomi e degli altri Ministri perché i
fascisti quando sentono il bisogno di sopprimere un avversario
sorteggiano fra di loro il destinato a consumare la soppressione, senza
alcuna preoccupazione".
Caradonna negò ogni responsabilità nel delitto.
Tuttavia nell’aprile del ’22, secondo la denuncia dell’on.Vella
alla Camera, dopo una manifestazione a Conversano, non lontano
dall’abitazione della famiglia di Di Vagno, un gruppo di seguaci del
Caradonna, capo del fascismo cerignolese che aveva partecipato di
persona, rivolse frasi oltraggiose e minacce all’indirizzo della
Vedova e del figlio di pochi mesi.
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