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Entro
Ottobre
Assemblea-Congresso
di coloro che credettero in buona fede al nostro grido di
dolore
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News : RELAZIONE DEL PRESIDENTE - DIREZIONE NAZIONALE |
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Ad
urne chiuse e a ballottaggi conclusi possiamo fare il punto su queste
elezioni.
L’Associazione
ha dato il suo simbolo ed il suo appoggio a liste locali collocate in
opposizione al Governo Berlusconi ed alleate con il centro-sinistra fuori
dall’Ulivo.
Nelle
elezioni europee
l’Associazione è stata assente per le ragioni a voi ben note: SDI e
NPSI fecero fallire il tentativo unitario da noi proposto.
La
lista dei Socialisti Uniti, frenata
nella generosità dello slancio per l’ambiguità di essere nel Polo
contro i Poli, ha ottenuto un riconoscimento per i fedeli della prima ora
e non ha assegnato un premio
ad un soccorso debole per idee ed improvvisato
nella scelta dei candidati.
Avevamo
inutilmente ammonito coloro che rappresentavano
una preziosa riserva per sfruttare al meglio la nuova congiuntura
politica, di lasciare ancora in campo solo chi nella lunga transizione
aveva fatto scelte di nicchia. I risultati non sarebbero stati molto
diversi.
Ma
riaprire questi discorsi è stucchevole e deleterio. Riproponiamo tale e
quale la stessa proposizione che mettemmo al principio del nostro lavoro:
non vogliamo sapere dove sono stati i socialisti, vogliamo sapere dove
vogliono andare e soprattutto se credono che c’è ancora una questione
socialista.
Non
basta dire la transizione è al capolinea, il bipolarismo realizzato è
finito, i partiti personali ed i partiti artificiali annaspano nella
inconcludente insufficienza.
Nelle
transizioni si scontrano, si intrecciano e si sopravanzano gli elementi di
cambiamento per disgregazione
e le spinte di cambiamento controllato. E’ l’eterna lotta tra
decadenza ed evoluzione, tra rotture e continuità.
Il
significato politico più espressivo emerso con queste elezioni è dato
dall’esaurirsi della fase di cambiamento
per disgregazione e dal profilarsi di nuovi e diversi cicli possibili
di cambiamento controllato.
La
rivolta elettorale in Europa è l’effetto manifesto della debole
crescita economica nell’eurozona: lo
0,4% del Pil, con l’85% del Pil oltre il 3%.
In
Italia, il detonatore che ha segnalato il malessere diffuso nel paese ha
due nomi: dieci anni di rincari dei prezzi e delle tariffe e
l’abrogazione della questione meridionale. Nell’Italia meridionale
F.I. perde 6,3 punti e la lista Prodi 7 punti. Lo schiaffo è per chi
governa e per chi ha governato se
Berlusconi perde 4 milioni di voti e Prodi ne perde 2 milioni.
Ma
la miscela esplosiva è un composto più complesso: sono venuti al pettine
i nodi antichi non risolti, mentre altri e diversi vincoli si sono formati
con il nuovo assetto dei poteri visibili e dei rinati poteri invisibili.
La
storia di tutte le rivoluzioni, reali o apparenti, ci dice che ogni
rottura violenta ha dentro di sé la spinta a ricomporsi; ma parte delle
fratture non sono ricomponibili, ed è questa la ragione per cui nessuna
restaurazione è un semplice ritorno al passato.
E’
triste dirlo ma è vero: il voto distaccato e vagante segnala che gli
elementi di decadenza sono largamente prevalenti sui fattori di
cambiamento.
Il
novismo ha perso il carattere di novità e non produce più miraggi ed
illusioni.
Perché
si è rotto così rapidamente il ciclo magico del “nuovo che
avanza”?
Perché
tra il ’92 ed il ’94 lo scontro fu tra la politica e la non politica,
tra i partiti e i movimenti, tra i poteri responsabili e i poteri
irresponsabili, e vinse la non politica, il movimento ed il potere
irresponsabile.
Questi
promisero la Seconda Repubblica in nome della Morale, del Privato, dello
Stato Minimo e della Felicità Individuale.
I
risultati sono davanti agli occhi di tutti. Tradizione e novità si
manifestano nella forma peggiore: l’una è pigra continuazione di un
passato che non ritorna e l’altra è semplice cancellazione di memoria.
Il
novismo non è stato capace di produrre una diversa
e moderna elaborazione politica ed ha bloccato il processo di
cambiamento delle antiche tradizioni culturali-politiche.
Il
bipolarismo forzato elettoralmente non ha prodotto il bipartitismo. Le
coalizioni elettorali sono il frutto di abili accordi contro e non
sono adatti per il governare.
Il
trasformismo ed il vagabondaggio elettorale sono il segno più allarmante
di una decadenza morale e civile.
Qui
torna l’antica lezione:
le
leggi elettorali possono aiutare l’evoluzione di un sistema ma non fanno
sistema.
Le
crisi politiche di sistema quando maturano non si disvelano con una
immediata caduta di consenso.
Ma
quando la perdita di elettori appare in un sistema scosso nei suoi
fondamentali è da attendersi un effetto valanga.
Recentemente
Luca di Montezemolo, che oggi va di moda ed è citatissimo, anche se dice
ovvietà, scoprendo l’acqua calda ha detto: “siamo
di fronte alla più grande crisi della storia nazionale della classe
dirigente in ogni campo, dalla politica in giù”.
Sarà
banale, ma si tratta di un problema che non lo potrà risolvere uno
squillo di tromba confindustriale che
faccia appello agli spiriti animali del capitalismo nostrano.
Non
sono neanche sufficienti i piccoli segnali di appartenenza che a destra
come a sinistra vengono salutati come auguranti fili di fumo.
Se
non ci sforziamo di capire perché abbiamo una destra ritardata e
bottegaia e perché abbiamo una sinistra velleitaria e subalterna, la
rinascita delle grandi culture politiche sarà rinviata ad un tempo
indefinito.
Crediamo
che il segnale di fumo dato alla lista socialista può essere annuncio di
resurrezione o miraggio ingannevole. Tutto dipende dalla giusta lettura
che sapremo dare su ciò che c’è nel profondo del nostro sistema.
Cominciamo
con ciò che ci sta più a cuore: lo stato di salute della sinistra visibile.
Diciamo
subito che è la sinistra che non ci piace, non
era nei nostri sogni di ragazzi rossi, non è quella che volevamo
quando alla fine degli anni’80 con il gruppo storico del PCI dalla Iotti
a Lama, da Bufalini a Chiaromonte, da Napolitano a Macaluso, demmo
vita al movimento per una sinistra di Governo.
Si
dice che le sinistre sono due: una fa il suo mestiere, l’altra balbetta.
Ma
è proprio così?
Non
credo: purtroppo vuole essere una sola.
Ai
tempi del fronte popolare si diceva: due partiti (Pci e Psi) una politica.
Oggi
si potrebbe dire: due tricicli, una bicicletta.
Perché
la sinistra in questi dieci anni ha perso la prova decisiva: essere forza
di alternativa con i suoi colori nell’Italia d’oggi, nell’Europa
senza il muro e nel mondo in bilico tra nuova pace universale ed inedito
terrorismo globale.
Il
mal sottile della sinistra italiana ha una radice, solida e profonda: la
subalternità al centro. I socialisti la utilizzarono per “ridurre” i
comunisti, i comunisti cercarono
di utilizzala per “liquidare” i socialisti.
Alla
fine degli anni ’80 non si capì che craxismo e berlinguerismo non
costituivano la base solida di una dottrina di alternativa, al massimo
potevano essere sacchetti di sabbia a difesa di due sinistre senza destino
di egemonia.
La
storia è andata in questo modo e non c’è posto per penosi lamenti o
per decadenti rimpianti.
Ciò
che stupisce è che la sinistra non colga questo punto della crisi
italiana: perché siamo così gonfi di centrismo?
Negli
anni ’60 il centro-sinistra prima di essere accordo programmatico tra
socialisti e cattolici, fu profonda innovazione sistemica.
Nenni
e L’Avanti! scelsero una
idea-forza per trasformare il paese e scrissero: “Da oggi tutti siamo più
liberi!”. Moro usò un linguaggio cifrato, ma carico di indicazioni e
annunciò una stagione di “convergenze
parallele”.
Per
i socialisti si trattava di fare un balzo in avanti per stabilire un nuovo
equilibrio politico fondato su la saldatura dei diritti sociali con i
diritti civili; per i democratici-cristiani si indicò alle forze storiche
della cultura cattolica e socialista una corsa competitiva
in parallelo per una convergenza programmatica.
Negli
anni ’90 il mutamento del quadro politico nazionale ed internazionale
non trovò classi dirigenti all’altezza di una nuova elaborazione di
idee forza.
Cittadinanza
sovranazionale e cultura dell’alternativa sono estranee alla cultura di
cortile di questi dieci anni. Non c’è un Moro delle “divergenze
parallele” non c’è un Nenni che ci possa indicare il “nuovo
internazionalismo”.
Per
accontentarci di ciò che
c’è dobbiamo partire da una domanda: nella situazione attuale c’è un
merito di Berlusconi?
Durante
la grande crisi ’89-‘92 il potere politico si consumava e gli altri
poteri si corporatizzavano per non essere travolti.
La
difesa di questi poteri ebbe l’apparenza di un attacco vittorioso.
Non
fu così! Perché le classi dirigenti della politica e della non politica
avevano la stessa matrice culturale e la identica estrazione economica e
sociale. In più sia le une che le altre avevano la responsabilità di
aver governato insieme.
Qual’
è la novità che Berlusconi introduce: innesta nel corpo politico malato
del pentapartito i giovani capetti della imprenditoria di massa e delle
nuove professionalità.
Nel
’19 Mussolini al sistema politico in crisi e ai ceti sociali in panico,
offrì l’alternativa dell’ordine degli ufficialetti reduci dal fronte
all’avventura rossa dei disertori sovversivi.
Il
fascismo non cadde dopo il delitto Matteotti perché la sinistra ed i
democratici si arroccarono sull’Aventino o sognarono di fare “come in
Russia” senza capire cosa c’era dietro il reducismo ed il mutato
assetto dei poteri dopo l’economia di guerra.
Se,
oggi, la sinistra di tradizione socialista non capisce che il
neo-centrismo all’italiana (cattiva copia del centrismo alla francese
senza Chirac) ha le sue radici nel nuovo blocco sociale berlusconiano e
nel ventre molle del governismo del triciclo, non potrà esservi
democrazia compiuta.
La
prospettiva di alternativa è possibile se una forza viva della sinistra
socialista riuscirà a parlare agli elettori in camicia azzurra e saprà
provocare un lacerante e democratico confronto tra i ciclisti in maglia
arcobaleno.
La
costruzione di una alternativa al centrismo è una operazione al limite
dell’impossibile, perché il centrismo è già una soluzione al vero
problema urgente: dare uno sbocco non traumatico al dopo-Berlusconi ed
ottenere un cambiamento controllato.
Il
neocentrismo è ormai una rete capillare e solida. Ha radici culturali
saldamente fissate nella dottrina sociale cattolica.
Essa
è una somma di principi:
“solidarietà, persona, sostegno agli ultimi, con la declinazione nel
quotidiano affidata alla coscienza individuale”.
Insomma,
anticapitalismo relativo o un capitalismo compassionevole.
Questo
neocentrismo ha una base di potere nelle università, nelle finanze, nelle
banche, nei media e nel sociale che non aveva mai posseduto dall’Unità
d’Italia ad oggi.
Il
neocentrismo sarà presto una
vasta galassia di forze, non un partito ma una pluralità di tendenze,
espressione moderna della DC delle correnti.
Questo
centrismo confligge con la concezione dei partiti personali, ha una
vocazione oligarchica, risponde al modello italiano del pluralismo
all’interno di una sola formazione politica.
Questo
centrismo è aperto ad alleanze su le mezze ali e può spingersi sino alle
ali periferiche nelle emergenze.
La
chiusura ingloriosa della transizione ha trascinato con sé la fine
dell’illusione dell’alternativa destra-sinistra, anche nella sua
versione, simulata solo per abilità semantica, di centro-destra e
centro-sinistra.
Scorgo
in questi giorni un non chiaro affannarsi dei socialisti. C’è chi
allude ad una alleanza centrista, c’è chi naviga verso i lidi paludosi
di una sinistra unita al seguito del Prodi pifferaio, c’è chi
rispolvera la mai defunta teoria dell’ambiguità etichettandola con la
parola magica dell’autonomia.
Grazie
signori, è un film già visto.
Su
queste astuzie ci siamo rotte le ossa: ne uscimmo nel ’76 per ricaderci
nell’89.
Autonomia
ha un senso se è riferita all’autonomia nella elaborazione e nelle
decisioni. Questa autonomia non esclude le alleanze di percorso.
Il
nostro giudizio sulla situazione in atto deve essere sereno e veritiero.
La
sinistra deve fare un bilancio del decennio sprecato della transizione
fallita.
In
termini sintetici il paese si ritrova con la democrazia affievolita, con
le libertà fondamentali messe in discussione, con una ridotta difesa
sociale, con una accresciuta disuguaglianza, con una economia pubblica
saccheggiata e rapinata, con un nanismo imprenditoriale, con un ruolo
internazionale servente, con il tramonto dello stato laico e con
un papismo dilagante a sinistra.
Di
fronte a questo terremoto la soluzione centrista è la classica scelta di
una posizione fetale.
Il
centrismo non potrà risolvere il problema cruciale della riforma per la
modernizzazione competitiva del paese nella comunità internazionale, ma
può spargere unguenti e distribuire melasse soporifere.
La
sconfitta di una sinistra che poteva fare a meno dei socialisti è
palmare: ha perso l’egemonia culturale e ha distrutto la
suggestione affascinante della prospettiva. La sinistra attuale dovrà
affrontare i drammatici problemi conseguenti ad una sconfitta storica e
dovrà avere un confronto vero con un neocentrismo a forte prevalenza
cattolica su almeno tre fronti: i valori umani ed il rapporto tra
religione e scienza; l’anticapitalismo della dottrina sociale cattolica;
l’universalismo ed il
pacifismo cattolico.
Nel
leggere la recente produzione dei tutori della dottrina si comprende
quanto sia robusto il pensiero della Chiesa.
Il
Cardinale Ratzinger ha dato la linea e dopo aver affermato che in molte
cose “il socialismo democratico
era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica (perchè) ha
considerevolmente contribuito alla formazione di una coscienza sociale”
ha tracciato una invalicabile frontiera con il comunismo:
“
La vera e propria catastrofe che essi hanno lasciato alle loro spalle non
è di natura economica; essa consiste nell’inaridimento delle anime,
nella distruzione della coscienza morale. Io vedo come un problema
essenziale della nostra ora per l’Europa e per il mondo questo, che non
viene mai contestato il naufragio economico, e perciò i vetero-comunisti
sono diventati senza esitazione liberali in economia; invece la
problematica morale e religiosa, di cui propriamente si trattava, viene
quasi completamente rimossa”
Se
il pensiero è vigoroso, non è certamente debole la presenza di una nuova
ed agguerrita forza cattolica nella cultura e nel sistema di potere nella
società.
E’
pronta una nuova e giovane classe dirigente, che, come lucidamente previde
un genio della politica, Nino Andreatta, avrà il compito della
“Reconquista” dei cattolici.
In
politica chi perde non deve attardarsi a discutere se ciò che c’è è
un bene o un male.
Ciò
che c’è è anche il
prodotto delle nostre debolezze e dei nostri errori.
Se
non sappiamo leggere la nostra storia, non potremo leggere il nostro
paese.
Nel
giro di trent’anni siamo passati da un centro-sinistra irreversibile ad
un alternarsi tra centro-sinistra e centro-destra dove la vera novità di
sistema era la legittimazione a governare della destra. Ora siamo al
dunque, e la sinistra per nascondere la propria sconfitta dovrà tifare
per un immaginario centrismo di sinistra per combattere un reale centrismo
di destra.
Ma
il centrismo ha una debolezza ed una magagna. La debolezza è che per
sopravvivere ha bisogno di larghi margini di risorse per sostenere il
riformismo corporativo. La magagna è che il sistema governato dal
centrismo produce stanchezza democratica.
Sento
la forza e l’urgenza della domanda: che fare?
Siamo
una forza storica della sinistra italiana e non possiamo rinunciare ai
valori ed alle ragioni che custodimmo ed affermammo quando fummo
protagonisti.
Essere
a sinistra non vuole dire, almeno per noi non fu mai, accettazione di un
principio balordo e gregario: meglio avere torto con tutta la sinistra che
avere ragione da soli. Si possono avere nemici a sinistra, anzi ritengo
che una sinistra di governo non potrà non avere nemici a sinistra.
Siamo
una forza di sinistra che deve fare i conti con la vittoria del centrismo.
Il
terzaforzismo nella storia politica italiana è stato sempre debole perché
il centrismo, o lo ha utilizzato come supporto residuale di governo, o lo
ha scavalcato a sinistra nelle emergenze sociali e civili o lo ha
malamente liquidato e sostituito con pezzi della destra quando appariva
troppo esoso.
Con
il centrismo va aperto un duro confronto politico sapendo che non tutti i
centristi sono nostri nemici.
Riorganizzare
la sinistra sapendo di avere nemici a sinistra, far governare il paese da
un centrismo influenzato dal nostro pensiero e dalla nostra azione è
opera difficile ma necessaria, richiede tenacia, generosità ed acuta
intelligenza. Sarà, come diceva Lombardi, cambiare le ruote ad un auto in
corsa.
Ma
noi, di quali risorse disponiamo oltre al puntiglioso orgoglio di quanti
hanno deposto nell’urna la scheda socialista senza preferenza?
Solo
se siamo impietosi con noi stessi potremo avere la forza di ricominciare.
Non
è più sufficiente la vecchia piattaforma dell’autonomia del partito
socialista ma occorre una dottrina socialista per una autonomia che valga
per tutta la sinistra di governo.
E’
finito il tempo della distinzione di fase tra il vivere ed il filosofare.
I
due momenti si sono saldati: non si può agire senza ragionare, il
pensiero deve essere azione. Cesserà la stagione grigia dei rinunciatari
accasati sotto i tetti degli altri e bisognerà liberare i combattenti
nelle legioni straniere.
Questa
opera di riscrittura dei testi e di rimotivazione degli uomini sarà opera
lunga o breve a secondo che sapremo superare i vecchi ed i nuovi malanni.
Abbiamo alle spalle una grande storia, ma in essa ritroviamo anche le radici di una debolezza che non ci fece resistere nella lunga notte dell’attacco ingiusto.
Abbiamo
avuto grandi e profetiche intuizioni, ma una superficiale elaborazione
organica del nostro pensiero.
Abbiamo
avuto straordinari dirigenti ma ci è mancata una classe dirigente unita e
solidale.
Non
abbiamo errato nell’individuare gli obiettivi che sbarravano il nostro
cammino, ma c’è mancata la capacità critica di fissare la gerarchia di
pericolosità degli stessi. La selezione fu individuale e non collettiva.
In
queste debolezze c’è la spiegazione del perché il partito socialista
italiano ha il primato delle scissioni e ha sempre visto fallire ogni
spinta unitaria.
Queste
debolezze hanno dissipato un grande patrimonio di lotte e di conquiste.
Ma
che senso ha oggi perseverare in quegli errori quando siamo così
debilitati ed esausti?
Dico
ai compagni che fanno appelli:
risparmiateci l’umiliazione del frazionismo degli sconfitti.
La
via dell’unità è possibile se partiamo dalla cancellazione delle
nostre debolezze e se i generali che non hanno evitato la sconfitta, ed io
sono uno tra questi, avranno la forza di essere testimonianza e semplici
consiglieri.
Il
frazionismo di oggi è patetico, umiliante e, lasciatemelo dire, ridicolo.
La
nostra Associazione nacque per unire, perché avevamo coscienza delle
nostre debolezze .
Entro
ottobre dovremo fare un’assemblea-congresso di coloro che credettero in
buona fede al nostro grido di dolore.
Oggi
vi chiedo solo una cosa: avviate una discussione sincera e disinibita,
tenendo conto che il futuro è delle nuove idee, di un nuovo personale
politico, di una nuova sinistra
che ha una frontiera nella sinistra.
Se
il socialismo è luce ed è vita non può essere penombra e vegetazione.
Fate
una discussione all’altezza di questi temi.
Da
oggi dovremo misurare la volontà dei socialisti non dalle parole ma dai
comportamenti.
Un
ciclo si è veramente chiuso, per riaprirlo ognuno esca allo scoperto.
Non
è in discussione il fare o non fare il partito: tutti
vogliono farlo.
Dal
progetto che sapremo esprimere
potremo capire se si tratta di una formazione
servente o di una forza ribelle.
Chi
ci conosce e conosce la nostra storia personale e politica sa che non
abbiamo mai preteso di essere la guida personale di un processo, ma la
nostra ambizione è sempre stata quella di poter rendere vittorioso un
indirizzo, una linea politica.
Lo facemmo quando avevamo vent’anni, l’età dei sogni, a maggior ragione lo vogliamo oggi nell’età che pensiamo debba essere della saggezza.
Prima
di chiudere voglio consegnarvi
il mio convincimento, radicato in una lotta che dura da 60 anni.
Esso
coincide con questo giudizio storico-scientifico di uno studioso
dell’economia mondiale: Immanuel
Wallerstein:
“Il
comunismo è Utopia, che vuol dire <in nessun posto>. Non è una
prospettiva storica, ma un mito dei nostri tempi. Il socialismo, al
contrario, è un sistema storico realizzabile, che potrà essere un giorno
posto in essere nel mondo. L’unico interesse è per un socialismo
concretamente storico, un socialismo che soddisfi le caratteristiche
minime di un sistema storico tendente a massimizzare l’eguaglianza e la
giustizia, un socialismo che accresca il grado di controllo della propria
vita da parte dell’umanità (cioè la democrazia), e che liberi
l’immaginazione”.
Il
socialismo in perenne divenire non sarà mai l’Utopia reale, sarà però
un socialismo possibile.
Per
questo fine ci occorre qualcosa di modesto ma di essenziale: crederci
sempre!
Roma, 1 luglio 04
GRAZIE RINO FORMICA
!
Un grazie di cuore
per quello che stai cercando di fare per i socialisti !
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I
GIOVANI
SONO CON
TE !
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