L'inflazione, la riforma della
scala mobile
Craxi diventa presidente del Consiglio, l'inflazione è al 16 per cento, quando se ne va è al 4,5 per cento. Questo straordinario risultato è conseguito non con le "cure da cavallo" sempre auspicate dai retori delle "lacrime e sangue", che determinano inevitabilmente, come effetto collaterale della terapia, pesanti recessioni economiche. Al contrario, dall'83 all'87, l'Italia, certo favorita anche dalla congiuntura internazionale, attraversa un periodo di fortissima espansione economica. La vittoria contro l'inflazione richiede la sconfitta di una cultura massimalista dura a morire. La stessa che nell'America Latina conduce dittatori di destra e demagoghi sedicenti di sinistra a risolvere i problemi di giustizia sociale stampando carta moneta. La stessa che, ai sindacalisti comunisti degli anni '70, faceva lanciare lo slogan: "il salario è una variabile indipendente". Scrive l'economista Mauro Ridolfi in quegli anni: "riaccendere fra gli operai l'illusione monetaria che Keynes lamentava imperante nei mercati del lavoro degli anni '30 è operazione culturale e politica di bassa lega. Sulla questione, ciò che conta, da sempre, è il salario reale, non il salario monetario. Sono i salari in termini di potere d'acquisto, non la quantità di carta moneta che troviamo nella busta paga. Ciò che misura il reddito significativo ai fini del benessere personale e della distribuzione del prodotto fra le parti sociali". Più semplicemente, i socialisti riformisti hanno sempre saputo che l'inflazione è "la tassa sui poveri", perché colpisce i cittadini a reddito fisso, i piccoli risparmiatori e, più di ogni altro, i pensionati. La vittoria contro l'inflazione richiede anche la sconfitta di un pessimismo distruttivo, seminato a piene mani dalla stampa negli anni '70, perché l'economia è una scienza (a differenza di quanto sostenuto da una cultura italiana spesso provinciale e letteraria) ma è fortemente influenzata dalla psicologia e dalle attese collettive. Nel febbraio del 1984, con il decreto di San Valentino, il Governo Craxi cancella gli automatismi della scala mobile non con un atto di imperio, ma secondo una impostazione accettata, dopo interminabili trattative, dalla Cisl, dalla Uil e dai socialisti della Cgil. La mobilitazione del Pci contro Craxi è senza precedenti, e ben si può dire che mai i comunisti hanno osteggiato un presidente del Consiglio tanto duramente quanto il presidente socialista. Un corteo di 700 mila militanti comunisti, provenienti da tutte le regioni, sfila per Roma. Alla Camera, il gruppo comunista, caso unico nella storia repubblicana, organizza addirittura l'ostruzionismo, tentando inutilmente di impedire la riconversione in legge del decreto entro 60 giorni. Il Pci non accetta la volontà del Parlamento e, attraverso la raccolta delle firme per il referendum, si rivolge direttamente agli elettori. Il terreno referendario può sembrare scivoloso per i socialisti. E' troppo facile infatti raccogliere consensi allorché si chiede alla gente, semplicemente, se vuole o no più soldi nella busta paga, sfruttando "l'illusione monetaria" sopra ricordata. Anche la destra missina appoggia i comunisti. Una parte della stessa Dc spera di veder liquidata la presidenza Craxi da una sconfitta e perciò punta alla sdrammatizzazione, a vantaggio dell'astensionismo, dal voto, negando che una vittoria della tesi dell'opposizione comporti automaticamente una crisi politica. Craxi affronta in pieno il rischio e raggiunge una vittoria referendaria che assume il significato di una svolta storica. La stampa internazionale registra con ammirazione e stupore la maturità di una Italia dove il 54,3 per cento dei votanti ha manifestato il desiderio di ridurre la crescita della busta paga per contenere l'inflazione e risanare l'economia. Il referendum costituisce una svolta perché è in gioco molto di più della riforma della scala mobile. Insieme a quello sui missili Nato, lo scontro che si conclude con il voto del 1985 è infatti l'inizio del declino del Pci, che nelle elezioni europee del 1984 ha ottenuto, con il 33,3 per cento il suo massimo storico. Sui missili e sulla scala mobile i comunisti organizzano, con cortei che si avvicinano al milione di persone, unici nella storia d'Italia, le due grandi mobilitazioni di massa degli anni '80. Tentano di contrapporre un Paese reale, rappresentato dal Pci e dalla piazza, al Paese legale, rappresentato dal Parlamento. Sostengono una sorta di diritto dì veto sulle grandi scelte politiche ed economiche. E Ingrao, alla Camera, giunge ad affermare che, con la decisione di installare i missili contro la volontà comunista, si viola il patto costituzionale tra le forze antifasciste che sta alla base della Repubblica. Berlinguer punta a imporre il riconoscimento che senza il Pci, vero rappresentante del mondo del lavoro, non è lecito compiere scelte economiche di fondo, e non è possibile pertanto risanare l'economia. Il referendum dimostra il contrario. Ciò che è ancora più significativo, il Pci, sconfitto politicamente, è sconfitto anche dai fatti: non nei consueti, lunghi tempi della storia, ma in tempi brevissimi. Sosteneva che i missili occidentali piazzati per controbilanciare i nuovi missili sovietici puntati da Brezhnev contro l'Europa avrebbero provocato la guerra: hanno invece contribuito a provocare la pace, il crollo del comunismo e la liberazione dell'Europa dell'Est. Anzi, i collaboratori di Gorbaciov riconoscono che la decisione italiana sui missili è stata indispensabile a quella degli altri Paesi della Nato e che tale scelta occidentale, dimostrando la impraticabilità della politica sovietica di intimidazione militare verso l'Europa, ha contribuito in modo determinante al crollo del brezhnevismo e al successo della perestrojka. I comunisti prevedevano disastri economici e impoverimento come conseguenza della riforma della scala mobile ma, al contrario, si sono registrate la sconfitta dell'inflazione e la accelerazione dello sviluppo. |