LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

Il ritorno di Formica e Signorile
L'impresa riformista
di due big socialisti

GIUSEPPE GIACOVAZZO

«Noi siamo qui perché gli altri hanno perso». Rino Formica ha ereditato da Pietro Nenni il gusto della frase graffiante. Ma il suo non è uno slogan. È un invito a ragionare. Con questa provocazione è sceso in campo insieme a Claudio Signorile, dopo 10 anni di astinenza: che sono tanti per chi come loro ha lungamente occupato la scena politica nazionale.
Prima domanda: chi sono «gli altri», e perché hanno fallito? Gli altri sono anzitutto gli ex compagni socialisti. Sono loro che hanno perso. Sia quelli schierati con la destra, sia quelli rimasti a sinistra. Ma è soprattutto a questi ultimi che si rivolge la nuova iniziativa «riformista», se è vero che, malgrado tutto, essa si riconosce nella sinistra. E non potrebbe essere diversamente: nel vocabolario della destra non esiste il riformismo. E poi il riformismo socialista ha già sperimentato i tentativi poco fortunati di Giuliano Amato e di D'Alema.
In realtà il travaglio della sinistra è anche dovuto al ritardo con cui l'ex Partito comunista ha affrontato il problema dei rapporti col socialismo italiano, prima e dopo il craxismo. Togliatti e Berlinguer non erano riformisti. E dopo di loro era difficile imboccare la strada del riformismo europeo, bersaglio di tante scomuniche. E quando, alla caduta del Muro, Martelli andò da Occhetto a proporgli la fusione in un unico partito socialista, Craxi annusò subito odore di tradimento.
Formica e Signorile non si sono mai pienamente identificati nella linea politica e gestionale del
leader maximo, neanche negli anni del suo maggior folgore. Per loro Craxi era l'uomo forte, lo statista che ormai sfuggiva al controllo del partito. Ma con lui furono leali fino in fondo. E quando veniva in Puglia, Craxi sapeva di calcare la terra del socialismo vincente ma anche dei suoi potenziali rivali al vertice del partito.
Ora, per i due leader pugliesi, Craxi è una parentesi chiusa. Come per Benedetto Croce il fascismo. E non conviene riparlarne. Sarebbe d'intralcio a chi vuol prendere le distanze dal berlusconismo, che per molti rappresenta ancora una deriva craxiana. E anche per lasciare che Tangentopoli resti soltanto un incidente di rito ambrosiano. I riformisti pugliesi devono riprendere la strada del socialismo partendo dalla tradizione pugliese che fu sempre riformista e meridionalista: da Di Vagno a Di Vittorio, da Lucarelli a Fiore a Stampacchia.
La nuova iniziativa socialista muove da una analisi che non si limita a registrare il fallimento di questa o quella componente, ma coinvolge l'intera sinistra. È mancata alla sinistra una seria riflessione sul dato strutturale della crisi italiana, secondo Formica. L'involuzione dell'Ulivo nasce da un equivoco irrisolto: una sinistra di governo non può coesistere con una sinistra «fondamentalista e antisistema», che condiziona i ds a ogni crocevia. A questo perdurante equivoco risale l'indebolimento dell'area laica, incompatibile con l'estremismo e con i «girotondisti dannunziani».

Questa la diagnosi. Ma la terapia? Con quale strumento politico si deve operare? Un movimento di tipo socio-culturale o un partito organizzato? È plausibile che Formica e Signorile scendano in campo, dopo 10 anni, senza la prospettiva di una struttura partitica? Signorile parla di una dottrina del riformismo.
Ma il riformismo, lui lo sa, non è una teoria. Si sono già consumati diversi esercizi spirituali in suo nome. Deve invece recuperare concretezza e senso delle istituzioni con strumenti agibili. Non può essere la ricerca a tavolino di una «cosa due» o di una «cosa tre».
Impresa tutt'altro che facile. Ma se una strategia si può intravedere in questo esordio di una rinnovata istanza socialista, proviamo a riassumerla parafrasando un vecchio appello socialista: «i riformisti con i riformisti!». Per ripartire non da chi ieri ha perso ma chi domani spera di vincere.