Relazione di Rino Formica alla riunione nazionale di Socialismo è Libertà
In
questa fase della lotta politica non possiamo gioire
dell’amarezza che taglia in due i democratici di
sinistra. Questo non è il nostro stile. Utilizzare
le disgrazie altrui come compenso per le sciagure subìte
è regola tribale: noi siamo figli della civiltà
socialista. Il
nostro approccio alla questione odierna tocca punti seri e
non aggirabili. Noi non vogliamo commettere gli stessi
errori che furono compiuti a sinistra dopo l’ondata
antipolitica ed antipartitica del ’92-’94. Quando
vengono lesionati i pilastri dell’ordinamento
democratico tutto il sistema entra in sofferenza, nessuno
può evitare la dura legge che impone un diverso
equilibrio nell’ordine dei poteri. Con
la 2° Repubblica emerse una classe dirigente del novismo
senza visioni e senza progettualità che si accoppiò con
i vecchi residui delle consorterie in declino. La
politica diventò debole. Fu
questa debolezza che trasformò i contrappesi
istituzionali in contropoteri politici e fu l’inizio di
un disordine di sistema che può rendere instabile e
precario l’ordine democratico. Tra
il ’92 e il ’94 non vi fu una rivoluzione, perché non
si volle rovesciare un ordine costituito, ma più
modestamente vi fu una rivolta per un ricambio di una
parte delle elités in nome di una dubbia catarsi morale. Tre
furono gli errori che i post-comunisti commisero per
fermare l’ondata antipartitocratica alla soglia della
propria casa: 1.
abbandonare il Psi al suo destino; 2.
partecipare alla liquidazione selettiva della Dc; 3.
agevolare la nascita di una destra populista e
qualunquista. I
post-comunisti lavorarono per la costruzione di un inedito
blocco sociale e politico che nel ’92-’93 prese in
mano le sorti del paese. Questo
blocco della purezza nazionale, era costituito dai settori
dell’economia internazionalizzati, dalla Bankitalia,
dalla Chiesa, da una parte della sinistra e dei grandi
apparati dello Stato. Ma
il blocco sociale e politico era provvisorio e non
organico ad una visione unitaria e non accettava di essere
subalterna ad una sinistra egemone. Nel
Pds, in quella torbida stagione del ’92-’94, prevalse
una scelta tattica: farsi guidare dagli altri per non
essere travolti dall’ondata antipolitica che loro stessi
avevano alimentato. La
2° Repubblica nacque sul veliero “Britannia” ove si
decise lo smantellamento del sistema pubblico
dell’economia ed è finito con il crollo del prestigio
della Banca d’Italia. Si
annuncia una nuova frattura nel sistema. Chi vuole capire
il nuovo evento non può utilizzare i canoni
interpretativi già in uso nella prima Repubblica, perché
in questi quindici anni il mutamento di qualità della
politica ha modificato in profondità l’assetto
morfologico della struttura dei poteri politici, sociali
ed economici della società italiana. Questa
nuova ondata antipartitica trova le forze politiche in una
condizione di accentuata debolezza fisica, morale e
ideale, rispetto allo stato di salute di quindici anni fa. La
discussione sulla “partitocrazia” e sulla
“sindacatocrazia” nei primi trentanni di vita
repubblicana, fu animata dalla destra e dai conservatori
perchè essi non avevano bisogno di una organizzazione
collettiva per esercitare la loro egemonia nella società
e nelle istituzioni. E’
con l’unità nazionale e con l’ingresso del Pci
nell’area di governo che la critica alla
“partitocrazia” esplode nella sinistra exparlamentare
e in quella libertaria, perché forte è il timore che si
stabilizzi un sistema di controllo della società civile e
di feudalizzazione della sfera pubblica. E’
durante il periodo dell’unità nazionale che i
socialisti inseriscono nel dibattito politico il tema del
rapporto tra pluralismo economico e pluralismo politico ed
il tema della indissolubilità del nesso tra socialismo e
democrazia. E’
naturale che nelle fasi di frattura degli assetti sociali
e politici tre sono gli argomenti che occupano i primi
posti nell’analisi dei mutamenti in atto: ·
la
funzione del partito politico; ·
lo
spostamento del luogo di sintesi del conflitto sociale; ·
la
divaricazione tra le forze della direzione politica e la
forza dei movimenti della radicalità sociale. Su
questi tre temi il contrasto tra socialisti e comunisti si
sviluppò non solo sul terreno della
contingenza politica, ma investì fondamentali
questioni di prospettiva democratica. Il
partito politico era inteso dai compagni comunisti come il
titolare privilegiato dell’egemonia operaia che era
destinata ad espandersi a seguito dello spostamento del
potere decisionale dalla società civile allo Stato.
Inoltre il partito politico doveva essere, sempre per i
compagni comunisti, l’organizzazione prioritaria per la
canalizzazione degli interessi sociali, perché una loro
diversa organizzazione tendeva a farli scivolare verso il
particolarismo corporativo. Questo
è il socialismo reale che in Italia prende corpo nel
modello emiliano. E’ l’autoinvestitura del partito che si assegna il
compito di guidare dalle istituzioni una società che non
ha gambe per camminare da sola. E’
il partito che si fa Stato e che si rifiuta di sciogliersi
nella società. E’
così che i partiti invece che democratizzarsi si
burocratizzano, diventano organi di governo e centri
nevralgici della gestione del potere, si sottraggono al
diritto comune e da enti di tendenza si
trasfigurano in entità totalizzanti. Nella
critica ai partiti che cova nella società italiana negli
anni ’80 e deflagra all’inizio degli anni ’90, vi
sono molti elementi di verità. Al
processo di liberazione interno alla società, non
corrisponde un analogo processo di apertura democratica
dei partiti. Non sono più il luogo della mediazione per
una sintesi ideale e pratica dei conflitti. Questo
deficit funzionale emargina i partiti e li priva del
privilegio di essere il luogo esclusivo della formazione
delle classi dirigenti. La
crisi degli anni ’90
fu la crisi più devastante della vita repubblicana
perché con miopia derubricò a questione morale una
inadeguatezza del sistema politico
a saper reggere al crollo dei vincoli e delle
discipline ideologiche. Si
dimenticò una legge elementare della lotta politica: la
questione morale mirata è sempre utilizzabile in tutte le
direzioni, perché la debolezza degli uomini è
inscindibile dalla natura umana. Non
vale il principio: eliminare uno per educarne cento. La
lotta democratica richiede pazienza e rispetto dei
diritti. Questa regola per noi valeva ieri, vale oggi e
varrà domani. L’ondata
antipartitocratica degli anni ’90, che i socialisti e le
minoranze libertarie della sinistra avevano
previsto dieci anni prima, colse di sorpresa i due
grandi partiti Dc e Pci che insieme totalizzavano oltre i
due terzi dei voti elettorali. La
risposta fu debole: la Dc si rassegnò e scomparve come
forza unitaria nazionale, il Pci si rifugiò nella
diversità morale come dottrina e nella grande capacità
di sacrificio militante della sua base per presidiare il
territorio. I
socialisti senza l’alleanza con i Dc per governare e
senza le condizioni di parità con il Pci per attivare con
equilibrio il duello a sinistra, restarono attaccati ai
ricordi del passato e mutilati della forza necessaria per
resistere e per recuperare. Contro
i socialisti e soltanto contro i socialisti fu utilizzata
l’arma del giudizio morale per
ottenere una eliminazione politica. Nel
nostro partito le tradizioni antiche hanno costituito le
ragioni della sua esistenza. Ma accanto a queste
tradizioni storiche, il partito seppe
collocare le nuove tradizioni costruite nella quotidianità
della lotta politica e nel vivo dello sviluppo del
conflitto sociale. Queste
tradizioni in itinere producevano attrazione e creavano
consenso. I
socialisti hanno conosciuto l’aperta avversione della
destra e dei moderati e la sottile e tenace ostilità
della sinistra. L’atteggiamento
della destra è naturale e coerente perché noi siamo
alternativa alla destra; più difficile è dare una
spiegazione ai comportamenti della sinistra. Ma
questa difficoltà è solo apparente perché socialisti e
comunisti appartengono allo stesso ceppo originario ma
hanno avuto due storie di vite diverse tra loro. La
differenza è visibile: la storia socialista può essere
interrotta ma essa vive nella coscienza degli uomini ed è
forza politica nel mondo; la storia comunista si è
conclusa perché è stata rifiutata dagli uomini e non è
più forza politica decisiva nel mondo. La
superiorità socialista non va ricercata nella qualità
dei singoli, ma vive nella diversa visione di società che
essi hanno. I
socialisti, diversamente dai comunisti, non sono
ingegneri sociali né ingegneri delle anime,
sono sciolti nella società, concorrono alla sua
trasformazione e vivono i suoi cambiamenti, non sono
seduti sulle stratificazioni fossilizzate dei ceti
sociali. Insomma
i socialisti non sono figli di un Dio, maggiore o minore,
sono figli di se stessi. I
comunisti non sono figli di un Dio minore, sono figli di
un Dio che è fallito. In
questi quindici anni l’ondata antipolitica poteva essere
assorbita se non fosse passata l’idea falsa e deviante che il malessere era solo
di natura morale e che bastavano poche incisioni praticate
con rozza e primitiva chirurgia per tornare alla normalità. La
crisi istituzionale è
rimasta in piedi perché non è stato sciolto il
nodo Stato-federale o Stato delle autonomie e
perché non si è trovata la formula per un nuovo
equilibrio tra sviluppo e stato sociale. Come
ha potuto dimostrare un gruppo di studiosi, crescere ad un
tasso dell’1,5 anziché del 3% (come all’inizio degli anni ’80) implica
accumulare un ritardo di quasi 20 punti di Pil in dieci
anni, impiegare 50 anni per raddoppiare le ricchezze del
Paese e non poter beneficiare della crescita
dell’economia mondiale. In
assenza di un riassetto del sistema politico e senza
strumenti di intervento nell’economia per ristabilire un
tasso di coesione sociale sopportabile, tutto diventa più
difficile e meno governabile. La
nuova ondata antipolitica si abbatte in una realtà
rovesciata rispetto a quella del 92/94. Allora
l’antipolitica mise in evidenza la questione morale e
tenne sullo sfondo la crisi del modello di società; oggi
la nuova antipolitica si rovescia su un sistema
istituzionale fatiscente e di relazioni sociali deboli e
tiene la questione morale come arma di ricatto
utilizzabile da tutti contro tutti. In
questi anni siamo stati avvisatori inascoltati perché
eravamo in contro-tendenza e venivamo classificati tra gli
irriducibili nostalgici anche se chiedevamo un profondo
revisionismo che è sinonimo di fredda dimenticanza. Abbiamo
ripetuto a tutte le forze politiche che fecero grande
l’Italia repubblicana, di guardare prima in casa propria
per mettere a posto le idee, per cambiare gli uomini e per
modificare i metodi di lavoro. Insomma
chiedevamo di non avventurarsi nelle dolci acque dei sogni
cosmogonici per non ritrovarsi, con un brusco risveglio,
tra i rovi delle pratiche da rigattiere. Lo
scenario politico che è dinanzi ai nostri occhi è al
limite del reale. I partiti novisti sono assemblaggi di
pezzi fisici del passato, privati solo del nome originario
di appartenenza. I partiti che cercano di sopravvivere
senza rinnegare il passato sono sistemati su impalcature
provvisorie: 5 realtà post-democristiane, 3 realtà
post-comuniste e tante realtà del notabilato locale e
delle sacche etniche. Non
è poi tanto fantascienza ipotizzare una crisi democratica
avviata verso un totalitarismo indolore con un
quadripartito di fatto: la Chiesa, la Magistratura, le
Banche ed i 4 grandi giornali. E’
nostra convinzione che l’assenza dei socialisti nel
fronteggiare questa crisi democratica può essere decisiva
per una vittoria delle tendenze antipartitiche e
antipolitiche. Ma
sono i socialisti che latitano o che
sottovalutano la loro funzione ? Per
anni abbiamo assistito allo spettacolino dei socialisti
che litigavano per sapere se dovevano stare a destra o a
sinistra e quando si sono trovati tutti a sinistra si è
dato il via ad una nuova e dotta elaborazione: è meglio
disciogliersi nelle storie altrui o in nessuna storia,
perché il socialismo non ha futuro e ciò che poteva dare
lo ha dato e sono
sufficienti le traccie che vivono nella civiltà presente. Continuiamo
a pensare che un sistema forte dei partiti politici ed un
sistema forte dei poteri extrapolitici siano
garanzia di equilibri istituzionali democratici. Se
il passato è la nostra certezza ed il futuro è la nostra
incertezza la nostra azione attuale sta nel mezzo. Tra
passato e futuro il presente racchiude la forza creatrice. Questa
forza per scatenarsi ha bisogno di condizioni d’ambiente
favorevoli e di volontà fresche e motivate. I
due maggiori ostacoli sono caduti: 1.
la pregiudiziale antisocialista; 2.
la legge elettorale costrittiva per i socialisti. Resta
da verificare se dopo quindici anni di emarginazione per
opera altrui e per autoflagellazione,
vi sono energie disponibili per un’opera ardita ma
doverosa per chi non vuole alzare la bandiera bianca.. Noi
di “Socialismo è Libertà”, abbiamo visto tanti
compagni che si avvicinavano con il cuore aperto ed una
speranza di vivere; abbiamo visto compagni stanchi che
hanno interrotto il cammino; abbiamo rivisto compagni
frettolosi nel voler tornare ad essere come prima che sono
andati in giro alla ricerca di altri lidi più sicuri: non
ci siamo esaltati né siamo depressi, perché il nostro
messaggio lo avevamo messo nelle mani sicure di un nucleo
di nuova generazione, che sappiamo essere la punta di
lancia di una nuova morfogenesi. In
queste elezioni la presenza socialista non riguarda solo i
socialisti, ma è una occasione vitale per la
ricollocazione socialista della sinistra italiana ed è
una ricchezza preziosa per l’intero equilibrio
democratico del sistema. Noi
non possiamo sottrarci ad una decisione, forse scomoda, ma
doverosa, di presenza diretta nelle elezioni di aprile. Chiusa
la questione della collocazione a sinistra di tutte le
realtà organizzate sopravvissute alla liquidazione del
Psi, i socialisti hanno davanti tre scelte: 1.
partecipare al listone Ds-Margherita; 2.
chiedere ospitalità alla Rosa nel Pugno; 3.
concorrere alla costruzione di una base di lancio
per una prospettiva socialista della sinistra storica
maggioritaria. La
prima soluzione ha tutti i caratteri distintivi
dell’attuale confusionismo politico; in esso convivono
due prospettive incompatibili tra loro: il cattocomunismo
senza la Dc e senza il Pci, ed un generico democraticismo
all’americana senza lo spirito di frontiera. La
seconda opzione è suggestiva perché è pura fantasia
magica.Quando è stata abbandonata la più realistica
ipotesi di costruire un cartello elettorale di una
sinistra di tradizione socialista ed una sinistra di
tradizione laica movimentista, la lista della Rosa nel
Pugno ha assunto l’impronta della vecchia lista radicale
ed ha oscurato ogni specificità socialista. Non poteva
che essere così. L’accordo elettorale si è trasformato
in progetto di futuro partito e siccome la cultura
politica non è acqua, tra Partito di Boselli e
Partito di Pannella non c’era gara: aveva diritto
a vincere Pannella. Noi
pensiamo che una presenza in Parlamento dei radicali sia
utile e preziosa in questa fase di precarietà
democratica. Pensiamo anche che ogni tentativo dei
radicali di assorbire la storia, la cultura e
l’iniziativa politica dei socialisti è un’opera ardua
e impossibile che non riuscirebbe neanche al genio di
Pannella. Resta
la terza ipotesi. Essa
è obbligata e non eludibile. Noi
poniamo solo alcune condizioni politiche: ·
liste
unitarie socialiste alla Camera e al Senato; ·
liste
di unità socialista allargate ad altri soggetti nelle
elezioni amministrative; ·
adesione
al PSE e all’Internazionale Socialista; ·
adesione
al programma di governo dell’Unione con una
dichiarazione autonoma; ·
avviare
dopo le elezioni un processo culturale-politico per la
ricollocazione socialista della già vasta area della
sinistra storica italiana. I
compagni del N.Psi ed il suo Segretario Bobo Craxi, hanno
compiuto una scelta di alto significato morale e politico.
La loro opzione umanamente sofferta ma lucidamente
praticata ha ristabilito una antica regola della politica:
le scelte individuali portano sempre il segno
dell’opportunismo e del trasformismo, mentre le
decisioni collettive sono le espressioni di una matura
convinzione che porta rispetto per il sistema e trascura
le convenienze individuali. Noi
pensiamo che vada sostenuto lo sforzo autonomistico ed
unitario del N.Psi. Questa
è oggi la nostra idea di realtà. E
vogliamo chiudere con una suggestiva riflessione di Edgar
Morin: “E’
importante essere realisti nel senso complesso del
termine: comprendere l’incertezza del reale, sapere che
il reale comprende un possibile ancora invisibile”. Noi
siamo posseduti da una idea profonda: il socialismo che
non è visibile nella realtà di oggi ma è ancora forte
nella coscienza degli uomini. Il
Presidente Socialismo è Libertà - On Rino Formica Roma,21 genn.06 - Hotel Universo
|