21 mesi or sono, il 22 gennaio 2003, i compagni Abbruzzese, Artali, Barra, Benaglia, Borgoglio, Delfino. Loy, Spano e Veronese a nome di un numeroso gruppo di compagni, che nel decennio ‘92-‘93 avevano resistito all’ondata antisocialista, diedero vita all’Associazione “Socialismo è Libertà”. La comune matrice culturale e politica era costituita dai “valori e dalle tradizioni del riformismo socialista e laico”. Il campo di azione era definito entro il perimetro del dibattito interno all’area del centro sinistra per dare forza e contenuto ad una politica unitaria socialista. L’obiettivo era quello di concorrere da socialisti a realizzare un nuovo modello istituzionale ed una compiuta democrazia dell’alternanza. L’Associazione ha assolto dignitosamente al compito limitato di persuasore culturale-politico, ma non ha inciso nei processi formativi delle decisioni delle altre forze socialiste e non ha modificato la natura delle altre formazioni dove si sono posate le disperse energie socialiste. Abbiamo recuperato i compagni afflitti dalla bruciante sconfitta; abbiamo acceso un piccolo fuoco di passione in un gruppo di giovani che legge la storia e non ha pace, perché vuole conoscere e capire le ragioni di un crollo; abbiamo riaperto la mente di vecchi e nuovi amici sui temi che ci fecero protagonisti di un secolo di storia. Questo lavoro era regolato sui tempi lunghi e su una stabilizzazione della seconda repubblica. 2. La crisi della seconda repubblica pone problemi nuovi e tempi diversi a chiunque opera sul terreno politico. I più piccoli devono fare di più e con accresciuta speditezza. La crisi della seconda repubblica apre due questioni stoltamente date per sepolte: il prevalere del peso dell’impegno politico dei cattolici nell’area centrale del sistema politico e il riemergere della “questione socialista” all’interno di una sinistra spuria, metà arcaica e metà improvvisatrice. La crisi della seconda repubblica si manifesta perché si è fatto ricorso ad una soluzione impolitica nella ricomposizione dei conflitti, nati dall’esigenza di trasformare le istituzioni e gli assetti giuridici, sociali e produttivi del paese dopo la fine degli equilibri virtuosi della prima repubblica. Per riuscire ad individuare i nuovi luoghi della elaborazione delle decisioni politiche e le più adatte sedi della formazione delle nuove classi dirigenti delle istituzioni, del sapere, dell’economia, della finanza e del sindacato, occorre capire dove e perché sono fallite le grandi aspettative, coltivate ed annunciate dagli improvvisati costruttori della seconda repubblica.
3. Il materiale della discussione che abbiamo distribuito ai soci per questa Assemblea-Congresso, introduce una riflessione mai scandagliata sino in fondo tra le forze politiche della sinistra: perché la sinistra italiana nel suo complesso è stata resistente al revisionismo e si è sempre rifugiata in un appagante svoltismo? I contributi dei compagni Labriola, Foccillo, Landolfi, sollevano questioni di essenziale attualità ed hanno l’occhio attento ai mutamenti strutturali intervenuti nella società italiana. Il compagno Signorile, con il documento che abbiamo distribuito oggi, rielabora alcune suggestive meditazioni che da alcuni anni offre al dibattito culturale politico in forma disinibita e fuori dagli schemi tradizionali. Questi sforzi non annunciano l’alba di una nuova travolgente revisione dei fondamentali della causa socialista, ma vogliono essere il piccolo segno di un risveglio del pensiero e dell’agire dei socialisti per capire le ragioni che impedirono in Italia l’avvento di una stagione di politica riformista sotto la guida della sinistra storica politica e sociale. Il conflittualismo economico di matrice liberista assistita ed il consociativismo politico, che garantiva al sistema di superare tutte le emergenze, sono, purtroppo, alla base della mai esaurita domanda di Dc e della sempre presente nostalgia di un vecchio Pci. 4. Se da questa riunione non vogliamo uscire confusi e frastornati, dobbiamo partire da alcuni punti fermi, dobbiamo avere chiare le domande che attendono nel futuro le nostre ipotesi di risposte. Dobbiamo individuare le linee dei progetti delle
altre culture politiche interessate a superare l’attuale quadro politico. I punti fermi da me individuati sono quindici, ma potrebbero essere molti di più. Sono i punti-obiettivo che i “novisti” posero come passaggi vitali ed essenziali per superare la prima repubblica e costruire la seconda. Accanto ad ogni proposito abbiamo collocato il risultato visibile dopo 10 anni di tentati assalti e di conati di false riforme
5. In questa scheletrica scaletta c’è tutta la spiegazione dell’inevitabile richiamo al Termidoro.
6. Gli interrogativi più frequenti posti all’attenzione dell’opinione pubblica, che viene gestita ed orientata dall’informazione e dalla pubblicistica d’attualità e da quella di approfondimento, non trovano risposta, nelle sedi dove sono assunte le decisioni politiche e dove ancora avviene la scelta e la cooptazione di una classe dirigente anemica e sfibrata. Proviamo a raffrontare le domande di senso comune, che appaiono e scompaiono nell’informazione quotidiana, e le relative risposte della politica ufficiale.
Se i punti di crisi della seconda repubblica sono visibili e valutabili, le questioni d’assieme e le tendenze in atto, che dovrebbero essere all’attenzione delle classi dirigenti, sono neglette e trascurate. E’ questo il frutto nato sul terreno arido delle esaurite capacità di analisi strutturali. In questi ultimi dieci anni sono passati principi, teorie e comportamenti che hanno modificato la morfologia del sistema politico, sociale ed istituzionale. Il passaggio dalle ideologie totalizzanti ai fondamentalismi religiosi, dalle prospettive visionarie all’improvvisazione conformista, dalla democrazia rappresentativa al dominio dell’immagine, ha cambiato i caratteri della materialità del potere, ha accresciuto il peso del sapere nella signoria sugli uomini, ha collocato l’agire degli individui su una strada in contro tendenza a consolidate convenzioni. 8. Quando i problemi si moltiplicano e le incertezze dominano si ricercano soluzioni incaute e rischiose. Torna di moda il vecchio grido di 15 anni or sono: nuove idee e nuovi uomini. Abbiamo visto come è andato a finire! I progetti innovativi hanno bisogno di tempi lunghi di elaborazione, di cauta e silenziosa formazione di quadri dirigenti organici al disegno, e devono rispondere ad una domanda diffusa e generale che superi l’interesse di parte, pur comprendendolo. Dov’è il nodo più inestricabile che non si vuole sciogliere? Esso risiede nell’eterno dilemma sempre ricorrente nelle fasi di caduta della cultura politica: viene prima lo schieramento delle forze o viene prima la impostazione strategica del progetto politico? Si notano in giro molti abili facitori di assemblaggi di tante sigle e di pochi uomini veri, mentre sono in cono d’ombra coloro che, per giudizio e per esperienza, vorrebbero dare un’anima ed un pensiero ai cambiamenti già avvenuti o che sono annunciati. La logica di schieramento si caratterizza per l’abilità nel gestire le debolezze umane, per la destrezza nell’utilizzo dei vuoti istituzionali, e per l’uso spregiudicato dell’inganno sociale e della magia politica. In questo campus è in via di sepoltura la seconda repubblica.
9. Chi sono, invece, e dove sono gli attenti osservatori della realtà sociale in mutamento, i pazienti istruttori di una nuova generazione del personale politico di governo e i sapienti autori di progetto organico di relazioni umane e di nuovi equilibri sociali in un mondo inquieto ed insicuro? Diciamolo subito: questi ricercatori e queste elaborazioni non sono nella destra che ci governa perché questa è una miscela inservibile di leaderismo, di tradizionalismo e di populismo; e non sono nella variopinta sinistra che ci vorrebbe governare perché ogni giorno essa sbanda ed oscilla tra un vago democraticismo ed un vetero fondamentalismo, tra continuità e radicalità, tra emergenziali salvatori della patria e tristi sacerdoti del declino e delle annunciate catastrofi. 10. Le novità dobbiamo cercarle in una vasta area centrale (da non confondere con le forze di centro degli schieramenti politici attuali). Questa area è popolata dalle varie correnti del laicato cattolico ed è fortemente influenzato dalla risorgente dottrina sociale della Chiesa e da una visione propria della globalizzazione della democrazia e della cittadinanza universale, più volte richiamata dalle encicliche del Papa. E’ nell’aprile del 1985 che il Papa durante il Convegno dei cattolici italiani pose il problema dell’unità dei cattolici nei momenti “delle responsabili e coerenti scelte che il cittadino cristiano è chiamato a compiere”. La frattura del 1985, che era presente nel laicato cattolico e nella Chiesa tra Comunione e Liberazione e Azione Cattolica, e tra Gesuiti e Opus Dei, a Loreto nel 2004 è stata assorbita con un quasi generale ritorno all’obbedienza al Papa. In questa ricomposizione va letta la 44° settimana sociale dei cattolici italiani. Le conclusioni del Cardinale Tettamanzi su “La rinascita morale del Paese e sul decisivo ruolo dei cattolici” costituiscono una piattaforma di indirizzo e di lavoro politico, ampia e completa. La Chiesa invita i cattolici “a ritornare alla politica, alla politica di qualità, come strumento principe per attuare la democrazia”. Ed il Cardinale solennemente afferma: “Tentazioni, difetti e vizi della democrazia (deriva collettivista, populista, liberista, relativistica, distorsione derivante da una politica fatta prevalentemente, o solo di immagine), provengono, infatti, da una falsa concezione dell’uomo, della sua sessualità della sua relazione con gli altri, con il mondo e con Dio”. I punti forti del messaggio sono tre: 1. Democrazia come valore decisivo per esprimere il giudizio di verità e di bene sull’uomo; 2. Impegno dei cristiani intorno al valore della democrazia e della libertà, che vale come impegno per la carità; 3. Assenza di democrazia se la cultura dominante e le stesse disposizioni legislative non riconoscono la famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio. La Chiesa che entra con il suo peso direttamente nella politica e nella selezione del personale della politica, non può essere giudicata solo per gli appelli di pace universale o per le aperture della dottrina sociale più aggiornata, ma deve essere dialetticamente affrontata sul terreno della distinzione tra Stato e Chiesa, tra politica e religione, tra potere laico e magistero religioso. Quando il Papa afferma: “La comprensione ed il rispetto per l’errante esigono anche chiarezza di valutazione circa l’errore di cui è vittima. Il rispetto per le convinzioni altrui non implica la rinuncia alle convinzioni proprie”, pone un problema in termini religiosi e politici. Come potrà esprimersi e quali conseguenze avrà sugli equilibri politici del Paese, la volontà unitaria dei cattolici nel far valere le proprie convinzioni religiose perché la politica sia definibile “politica di qualità”. Un sovraccarico di responsabilità diretta della Chiesa nella vita politica può riaprire antiche ferite nei rapporti tra Stato e Vaticano. 11. Il socialismo ha il diritto di riaprire la questione ma ha anche il dovere di impedire ogni rinascita di anticlericalismo e di fondamentalismo laicista. Fu questo il terreno di incontro-scontro scelto dai socialisti dopo il congresso di Torino del ’55, mentre la sinistra non socialista oscillò sempre tra deferenza ed insolenza. In passato abbiamo difeso i diritti della Chiesa quando fu ridotta al silenzio dal comunismo, oggi dobbiamo dire con rispettosa fermezza, che se la Chiesa è diretto soggetto politico, noi abbiamo il diritto di discutere i suoi principi e di giudicare le sue azioni. Siamo di fronte al sorgere di una novità politica dall’esito incerto e dalle conseguenze imprevedibili. Non vi è più un partito rappresentativo dell’unità politica dei cattolici, in grado di ricercare con le altre culture politiche un punto d’incontro per far valere le proprie ragioni, nel modo consentito dalle regole della tolleranza e dal principio dei rapporti di forza. Vi sono più partiti di ispirazione cattolica e disseminate presenze cattoliche nei partiti di altre tradizioni e di altre culture. a Chiesa ha scelto la strada di impegnarsi direttamente nella politica e di richiedere obbedienza alla gerarchia e coerenza nei comportamenti a tutti i cattolici perché “nei rapporti con l’Islam, nella difesa delle radici europee, nella lotta all’agnosticismo e al relativismo morale, la Chiesa possa far trionfare la verità”. Nessuno può affermare che questi propositi siano definitivi perché conosciamo quanto raffinata sia la saggezza di quel mondo, ma dobbiamo avvertire che se è escluso che una forza socialista possa tornare a rialzare vecchi steccati, è anche utile osservare che, l’ipotesi della Chiesa soggetto politico, farebbe emergere nella società una consistente minoranza politico-religiosa con grave danno per la pace civile del nostro paese 12. La nostra preoccupazione non è centrata solo nel punto dell’irrompere della Chiesa nel ravvicinato scontro politico, ma attiene, anche, al rischio di una ricaduta nella elaborazione in corso nel mondo del lavoro, sul tema della “questione sindacale”. Il sindacato è uscito dal collateralismo e dalla logica della cinghia di trasmissione e non può cadere sullo scivoloso terreno dell’essere partito politico o, peggio, di essere parte di un disegno politico-religioso. Ha da affrontare le grandi questioni delle relazioni sindacali e del modello contrattuale, delle forme delle rappresentanze e, deve ridefinire il rapporto con la politica. Non si tratta solo di mantenere viva una dialettica tra il sociale e la politica, ma di fissare il perimetro della sua rappresentatività politica, per poter meglio affrontare le sfide nel nuovo stato sociale di qualità e nella valorizzazione sociale del lavoro. Uil, Cisl e una parte, per ora minoritaria della Cgil, hanno la forza culturale organizzata per rivedere storia ed esperienze passate. Noi abbiamo guardato alle organizzazioni sindacali ed in particolare alla Uil, sindacato di tradizione laica e socialista, con amorevole interesse ma non abbiamo mai pensato ai sindacati come componente politica di un partito, mentre riteniamo giusto che, militanti e dirigenti sindacali, svolgano individualmente nei partiti il loro impegno politico. Non potremo cambiare idea, adesso, quando il sindacato affronta una fase delicata della sua esistenza, che vede mettere in discussione il modello confederale. Il progetto politico della Chiesa, per dare un indirizzo ed un ordine al caos del sistema e per individuare una successione ad un leaderismo senza qualità, resta la più forte ed organica proposta in campo. A noi non va bene perché ha in grembo pericoli e lacerazioni che dal 1870 ad oggi erano stati superati ed assorbiti. Ma a noi non piacciono neanche i pseudo progetti dei due schieramenti. 13. Nel centro-destra dopo la liquidazione di Tremonti e dopo lo scempio e lo sfregio costituzionale consumato in Parlamento, resta una pallida e improbabile visione di società: tenere insieme gli interessi minuti e disperati con la carità compassionevole dello Stato e dei ceti forti. E’ questa una speranza che quotidianamente si infrange sugli scogli della spesa pubblica. Nel centro-sinistra non c’è progetto, c’è magia ed esorcismo politico. Un giorno si annuncia la grande alleanza che deve mettere insieme sinistra antagonista e sinistra di governo, ed in un altro giorno si punta alla egemonia della sinistra di governo che riduca all’obbedienza la sinistra anti-sistema. Per ora il programma non c’è, ma si intravede solo la figura o la controfigura di un capitano e la sagoma di una nave pirata. Mancano un progetto liberale della destra ed un progetto socialista della sinistra. Un progetto socialista non può nascere in casa altrui, deve prendere corpo all’interno della densa e travagliata storia dei socialisti senza chiusure integraliste. Per attingere alle fonti dovrà passare il filtro di un revisionismo mai esplorato in passato sino in fondo e con paziente costanza. 14. Lo storico Stefano Merli, acuto conoscitore della storia del movimento operaio e del socialismo italiano, militante irrequieto della sinistra, nel centenario del Psi, in un convegno a Lecce nel 1992, durante i drammatici giorni della nostra implosione, propose una lettura diversa da quella unitaria tradizionale della storia dei socialisti. Mi piace riprendere un passo importante del Suo intervento riportato nel volume “Alla ricerca di un socialismo possibile” recentemente pubblicato per ricordare la Sua opera. “Il <bauerismo> di Nenni, il <trotzkismo> di Basso, il <classismo> di Morandi, l<’azionismo> di Lombardi, il <gobettismo> di Foa, hanno rappresentato certo dei grandi momenti; e per questo abbiamo fatto bene a studiarli, mettendone in luce-magari con qualche forzatura- la <diversità> e la <originalità> rispetto alla cultura togliattiana. Però non è attraverso quel patrimonio che la cultura socialista salva le proprie radici e la propria identità, o le recupera dopo l’autocritica del 1956 e quella ancor più radicale del Midas. Bisogna riconoscerlo. Ora ritengo che le alterne vicende e le potenzialità del pensiero socialista siano legate ad altri momenti, ad altre figure, ad altre iniziative e affondano le loro radici in un patrimonio che è un impasto tra tradizioni e rinnovamento. L’ambito cronologico va dalle Tesi di Tolosa del 1941 con il dibattito-scontro nel gruppo dirigente emigrato per progettare la politica socialista nel dopoguerra, al Centro estero di Zurigo, di Gorni e Silone, alla ripresa di “Critica Sociale” da parte di Faravelli, al duello politico-ideologico tra Nenni e Saragat al Congresso di Firenze del 1946, a Palazzo Barberini, a “Europa socialista” di Silone, alla lotta per l’unificazione da parte della diaspora liberal-socialista nel 1956 e definitivamente nel 1989, quando è riuscita a conquistarsi all’interno del Psi, ora anche nell’ex Pci, quello spazio che pur meritava e che oggi per certi versi ci sembra strano che non abbia avuto”. Sempre Stefano Merli, in un convegno di studi sulle radici del socialismo, nel giugno del 1994 esprimeva con suggestive parole la sua passione per un partito che non c’era: “Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono. E’ presto detto. Per affermare una idea del socialismo. Sono singolari, terribili ammonitrici le coincidenze tra i tempi in cui si consumò la loro testimonianza e quelli che stiamo vivendo noi oggi. Una stagione del socialismo stava tramontando, gruppi di dirigenti venivano travolti da masse che identificavano il socialismo con il passato, il trasformismo, l’impotenza, la sconfitta e si orientavano verso altre bandiere che affascinavano con la speranza del cambiamento, del nuovo, del potere da conquistare. I due tempi della “espiazione socialista” (i primi anni Venti, i primi anni Quaranta) videro protagonisti Matteotti, Buozzi e Colorni, uomini di due generazioni, che chiamati a dare una risposta in positivo alla terribile domanda: i socialisti hanno ancora una fede? Il socialismo ha ancora un avvenire? Seppero fare innanzitutto una spietata autocritica, ma anche definire una prospettiva quando il socialismo aveva perduto motivazioni e identità, si era ridotto a ricordo se non a bersaglio di scherni”. I socialisti di autocritiche ne hanno fatte di ogni tipo, di prospettiva hanno parlato poco e ne hanno aperte pochissime. 15. Una associazione di tendenza non basta più, può solo precipitare nel ruolo di una solitaria ed inascoltata Cassandra. Deve farsi movimento per tenere unito il pensiero all’azione. Un movimento non è un partito e non può essere un partito. Il partito ha un compito ed un ruolo definito, il movimento agisce nell’area degli esterni ai partiti per influire sulla vita dei partiti. I due partiti socialisti visibili sono, per ragioni varie e comprensibili, all’interno di visioni altre. Una lunga stagione di lotte disperate ha reso tutti più affaticati e più sfiduciati. Si è tentato, così, di sanare le crisi altrui. Noi, invece, cogliendo l’analisi di Merli, vogliamo scavare nella crisi altrui non per vendetta, ma per una ragione solare: mai il paese ha sentito così forte un bisogno di nuova socialità e di nuova libertà come in questo momento in cui si confrontano i due campioni del negativo della prima repubblica. Berlusconi, il privato che espropria il pubblico; Prodi, il pubblico che svende al privato. La Chiesa sta liberando la realtà cattolica dalla gabbia della telecrazia berlusconiana e vuole riassorbire il popolo comunista, vittima di una eresia cristiana. I socialisti devono aprire una battaglia politica nella sinistra: luogo storico in cui sono nati e luogo naturale nel quale dovranno rinascere.
16. La sinistra che c’è non ci piace. Essa è caduta negli errori delle antiche tendenze opportunistiche del movimento operaio: il potere viene prima della politica; il riformismo deve essere calato dall’alto perché il popolo è sempre immaturo. Il socialismo moderno non può essere ingegneria sociale che costruisce utopistici falansteri. I socialisti non sono i nuovi ingegneri delle anime di staliniana memoria, cioè funzionari specializzati, “soggetti agli ordini e alle ordinazioni dello Stato”. Il socialismo del nostro tempo deve immergersi nel lavacro del revisionismo. I socialisti delle nuove sfide devono attingere le energie nell’area della cultura non ingaggiata, nell’area della sofferenza sociale, nell’area degli esclusi dalla ricchezza della conoscenza.
17. L’agenda di lavoro non potremo scriverla da soli. Dobbiamo avvicinarci e sostenere i socialisti dovunque essi siano. Ad una sola condizione siamo pronti a cedere ad essi quel poco di forza che possediamo: che abbiano voglia di alzare la testa e di porre a sinistra la questione socialista. Ciò che noi possiamo scrivere nell’agenda politica sono gli argomenti che riteniamo dirimenti per costruire una democrazia dell’alternativa. A nostro avviso 5 sono i punti all’ordine del giorno del Paese: 1. Una Costituente che possa azzerare i disordinati ed avventuristici mutamenti costituzionali introdotti dal centro-sinistra e dal centro-destra. 2. Uno stato sociale di qualità fondato su una nuova scala della tutela dei diritti e che sappia offrire a tutti le stesse opportunità durante la vita. Uno stato sociale di qualità che sappia sanare le ineguaglianze tra classi sociali, tra generazioni e tra paesi poveri e paesi ricchi. 3. Ristabilire i confini di rispetto tra politica e religione, tra Stato e Chiesa. 4. Ricercare il punto di equilibrio nella società d’oggi tra la forza del potere ed i diritti della democrazia. 5. Ridefinire le regole per un corretto ed efficace rapporto tra rappresentanze e partecipazione, tra democrazia mediata e democrazia diretta.
18. Vogliamo dar vita ad un movimento per persuadere, per convincere e per operare perché il socialismo abbia un futuro. Il socialismo, come tutte le espressioni viventi, ha un futuro se esso non è identico al passato. Deve rinnovarsi senza rinnegare. Ma ciò non basta: il socialismo può avere un futuro se i socialisti non venderanno l’anima al diavolo per ignavia e per fiacchezza morale. La nostra e la mia unica, personale ambizione è quella di poter trasmettere un messaggio di certezze possibili più che una voce di incerta speranza.
19. Cari Compagni, sappiamo che per costruire certezze si deve operare dal basso, partendo da atti significativi e di indiscussa, anzi direi, di esasperata chiarezza. Da alcune settimane, con varia intensità, in ogni regione d’Italia, nascono iniziative unitarie dei socialisti per dare vita nelle prossime competizioni elettorali a liste di concentrazione e di unità socialista. Tutti coloro che si sono gravati di un compito arduo e generoso non chiedono alle varie formazioni socialiste il miracolo dell’unità. Rivendicano qualcosa di più nobile e di più vitale: · Una politica di sinistra autonoma, revisionista e non integralista, che non ceda nulla del bene inalienabile della sovranità propria a storie, a tradizioni ed esperienze di altri, che quotidianamente rivendicano orgogliose continuità e superiore diversità; · una forza organizzata meno interessata a valorizzare un passato che non ritornerà e più incline a saper cogliere le contraddizioni nuove prodotte da antiche e recenti fratture sociali e politiche; · guide sapienti e generose che sappiano chiudere la fase della passata esperienza socialista nel rispetto della memoria ma senza attardarsi nella misurazione dei danni patiti. Spetta ad un movimento il compito di rompere la crosta che ci ha coperto. Questo movimento deve sviluppare una funzione maieutica e liberatoria. Deve aiutare a far nascere una politica, una forza, una classe dirigente. Le qualità di questi elementi in politica, come in ogni fase drammatica della vita, sono valutabili sul terreno dello scontro e delle prove di forza. Non c’è dubbio che le competizioni elettorali sono alcuni di questi momenti. Alle prossime elezioni regionali dovremo impegnarci in ogni regione nella costruzione di liste unitarie socialiste con tre obiettivi: 1. cancellare la sconcertante presenza socialista nel centro-destra; 2. rafforzare la forza socialista autonoma nella sinistra che non ci piace; 3. preparare sul territorio una presenza socialista di qualità, di fede e di rinnovata combattività. Per compiere questo straordinario sforzo ci rivolgiamo con rispetto ed affetto fraterno : · ai compagni dello Sdi che a lungo hanno difeso con amore una trincea difficile ed esposta; · ai compagni di “Unità Socialista” e a coloro che nel NPsi hanno vissuto, con sofferenza, il conflitto tra una collocazione in terra avversa e la necessità di salvare un simbolo; · ai socialisti in camicia azzurra, perché non vi è più giustificazione ad essere in un movimento rifugio quando esso ha assunto il carattere odioso ed ostile di un potere avverso alle nostre ragioni esistenziali; · ai socialisti dispersi nella sinistra altra. Essi non hanno potuto trasformare in socialista ciò che era diverso dal socialismo, anzi, hanno involontariamente bloccato il processo revisionistico che era così vivo nel Pci nel finire degli anni ’80. Con altrettanta limpidezza ed onestà di propositi, ci rivolgiamo alle nuove generazioni in bilico tra l’operosità della pre-politica e l’ evasione fondamentalista della post-politica Cari Compagni, vengo da una lunga e travagliata esperienza di lotta politica, ed ogni qualvolta mi rivolgo ad una platea di socialisti temo che essi non sappiano cogliere la drammaticità della nostra condizione: oggi che tutto è tornato ad essere favorevole alla nostra causa, incontriamo una strana ed assurda difficoltà: la paura e la rinuncia dei socialisti. Siamo qui per rimuovere questo ostacolo
|