Cari Compagni,
Voi siete qui per un nuovo inizio.
Buona parte dei presenti, negli anni terribili della
caccia ai socialisti, ha Cari Compagni,
Voi siete qui per un nuovo inizio.
Buona parte dei presenti, negli anni terribili della
caccia ai socialisti, ha sofferto il peso di una lunga
sosta tra forze politiche moderate e storicamente ostili
alla propria causa.
Il ricordo ed il rispetto per il leader Bettino Craxi che
trent’anni fa si assunse il faticoso compito di tirare
fuori dalle secche del declino il Psi, non può essere
rituale e meramente commemorativo.
Questi furono i temi dell’agenda di partito ereditati da
Craxi nel ’76 al Midas?
Dieci punti erano all’o.d.g.
1. Come si può recuperare un partito rassegnato e
sfibrato ad una sfida ardua contro il consociativismo
dilagante che copriva i quattro quinti dell’elettorato;
2. come si possono ricomporre le divisioni della sinistra
in una strategia di alternativa;
3. come si può governare un paese, attraversato dal
terrore e dalla paura, con una sinistra divisa su
strategie non unitarie;
4. come proseguire una collaborazione di governo con una
democrazia cristiana in declino e sempre più arroccata su
linee di progressiva sottomissione all’egemonia del Pci;
5. come affrontare i poteri antichi e dominanti,
refrattari ad ogni azione di modernizzazione;
6. come imbrigliare i nuovi poteri ostili ad ogni vincolo
ed interessati al prolungarsi della paura e del caos;
7. come ricomporre il quadro sociale nonostante il
persistere degli effetti delle sbornie movimentistiche
consumate all’insegna del “tutto e subito;
8. come frenare l’ondata ribellistica ed indirizzarla
verso un mutamento istituzionale in equilibrio tra spinta
di partecipazione e necessità d’autorità;
9. come attrezzare il Paese a fronteggiare i processi
internazionali di integrazione e quelli nazionali di
disgregazione;
10. come rinegoziare in un assetto stabile di alleanza una
nuova gerarchia internazionale di potenze.
Questo era il panorama politico italiano nel luglio del
1976.
Ma su una questione oggi mi vorrei fermare. E’ la
questione dei rapporti tra socialisti e comunisti durante
la crisi storica della Dc degli anni 70/80.
Il sequestro di Aldo Moro nel marzo del 1978 chiude il
ciclo trentennale dell’egemonia democratico-cristiana
nel sistema politico italiano.
Nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro i tre
partiti-pilastri nella edificazione del sistema
democratico repubblicano affrontano la crisi vera della
prima repubblica: il declino dell’egemonia politica
della Dc.
Una straordinaria manipolazione dell’informazione copre
una rottura sistemica e la trasforma in una querelle tra
fautori della fermezza e sostenitori della trattativa
umanitaria.
In realtà la Dc non poteva affidarsi solo alla magia di
Moro per evitare l’esaurimento di funzione di partito
cristiano, giunto al potere non per un aumento della
pratica cristiana e dello spirito religioso, ma per il
crollo delle forze laiche e liberali tradizionali.
Il Partito Socialista nel Congresso di Roma del 1976, con
la Segreteria De Martino, aveva proposto una strategia
dell’alternativa che implicava”un diverso rapporto di
forze tra Socialisti e Comunisti”.
Il disastro elettorale del Psi nel ’76 portò al Midas e
alla segreteria Craxi.
Il Partito comunista, dopo il voto del 1976, si convinse
che il Psi aveva esaurito il suo ruolo e che ormai si
apriva una stagione a due: Dc e Pci, nell’immediato e
nella prospettiva.
Perché parto dai drammatici giorni dell’aprile-maggio
1978 per affrontare il tema del cosiddetto duello a
sinistra tra Craxi e Berlinguer?
Perché in quelle poche settimane si consumò il tragico
gioco-verità tra Psi e Pci: la diversa valutazione della
qualità e della profondità della crisi della Dc accecò
i comunisti e illuminò di false speranze i socialisti.
Il dissidio tra socialisti e comunisti non è
riconducibile alla contrapposizione: riformismo e
rivoluzionarismo, gradualismo e antagonismo, sinistra di
Governo e sinistra anti-sistema, socialismo dal volto
umano e autoritarismo di sinistra, democrazia aperta e
centralismo democratico, occidente ed oriente, Welfare
europeo e terzomondismo, sono categorie e schemi che
dicono poco, perché Pci e Psi, nella loro storia furono
attraversati dallo stesso bene e dallo stesso male, sia
pure in misura ed in epoche diverse.
Sino al 1945 la divisione tra socialisti e comunisti è un
grande problema nazionale che interessa una vasta area
popolare maggioritaria nella parte attiva, dinamica e
decisiva per la rinascita dell’Italia.
Con il ’46-’48, cambia il quadro di riferimento del
sistema politico. Le forze di popolo che si preparano a
guidare il Paese sono tre: cattolici, socialisti e
comunisti.
La Democrazia Cristiana assunse il ruolo di garante della
pacificazione nazionale e dell’ordine occidentale e
nell’affrontare la questione sociale si attestò su una
linea neo-corporativa e statalista.
Fu così che nell’agire politico entrò di prepotenza il
popolarismo cattolico che egemonizzò tutto il moderatismo
italiano.
Da quel momento il campo della sinistra sociale (i
sindacati) e della sinistra politica fu arato da tre
grandi forze popolari: Dc, Psi, Pci.
La storia di ognuno di questi partiti entrò nella storia
degli altri.
Le interferenze non furono di tipo riformistico, ma ebbero
una forte valenza politica perché erano finalizzate a
governare la transizione democratica e ad egemonizzare il
sistema.
I tre partiti di massa non sono tre varianti di una comune
strategia riformista.
La Dc non è un partito di difesa religioso, ma è aiutato
dalla Chiesa ad isolare grandi quote di elettorato
popolare dall’influenza della sinistra socialista e
comunista.
Dopo la fase frontista ed unitaria, socialisti e comunisti
non si sono divisi sulla costruzione di una comune
prospettiva storica (l’alternativa di sinistra), perché
questa era inconciliabile con l’appartenenza a due campi
internazionali diversi. Essi si sono combattuti, lacerati
e sgambettati nella definizione dei rapporti di governo o
di opposizione con la grande forza popolare dei cattolici,
destinata ad essere centro stabile e di equilibrio del
sistema politico regolato dal bipolarismo mondiale.
Sul dopo ’68 e sul decennio degli anni ’70 si è
scritto molto.
Ma è sempre rimasta nell’ombra una questione decisiva
per una corretta valutazione degli effetti prodotti dal
mutamento sistemico che affiorano negli anni ’70: i due
pilastri della pace politica, la Dc ed il Pci non tengono
più. Per la Dc comincia la fase di esaurimento della
funzione di centro egemone nel rapporto
governo-opposizione; per il Pci si apre una inedita
stagione di perdita del ruolo: si frantuma il potere di un
controllo assoluto di tutta la sinistra sociale e politica
del paese.
Il problema dell’equilibrio e della rappresentanza dei
partiti è in Italia molto diverso da quello di altri
paesi europei, perché i partiti non sono soltanto i
portatori della volontà politica dei loro elettori, ma
sono anche, nella loro differenza costitutiva, il
fondamento della legittimità nazionale.
Sta qui la vera ed unica anomalia del caso Italia: quella
di una nazione che trae la sua identità direttamente
dalle forze che esprimono le differenti opzioni politiche.
Queste forze hanno dunque, rispetto al loro carico di
differenza politica, una nuova aggiunta che è quella di
dover configurare contestualmente la volontà del Paese di
esistere come comunità nazionale unificata attorno alle
istituzioni.
Le istituzioni hanno il loro ultimo fondamento nel
consenso di legittimità di tutte le forze politiche.
Negli anni ’70 la diagnosi socialista e quella comunista
riconoscono la crisi costituzionale ma divergono sulle
soluzioni, sui tempi del “passaggio di mano” e sugli
effetti interni ed istituzionali che avrebbe prodotto
l’innovazione della democrazia compiuta.
Craxi dopo l’elezione a Segretario del Partito , il 17
ottobre del 1976 così enunciava la sua strategia
politica:
“La domanda legittima è: un’alternativa per quale
socialismo?
La nostra risposta data in sintesi: un socialismo non
burocratico e anti-autoritario.
Non un socialismo della miseria. Un socialismo europeo
nella libertà. Da qui discende la necessità di un Psi
forte ed autonomo, di un polo socialista della sinistra
che rappresenti la garanzia, che segua quella che noi
consideriamo la sola strada maestra del socialismo in
Europa occidentale, tanto diversa dalle degenerazioni
dispotiche che abbiamo visto in altri Paesi. Se il Pci si
muove in questa direzione, ciò sarà sottolineato da noi
in modo positivo. Se sta fermo o si muove in modo ambiguo
lo incalzeremo con la nostra critica.
Quanto alla Dc, in essa si concentrano i fondamentali
interessi del mondo conservatore.
E’ difficile ipotizzare una strategia per il socialismo
che veda associata organicamente ed in posizione magari
preminente la Dc, nel suo complesso.
Ho ribadito più volte il concetto di un polo socialista
autonomo rappresentato in primo luogo dal Psi e dal suo
proposito di costituire un elemento di propulsione e di
coordinamento di tutte le forze della sinistra non
comuniste, in piena autonomia rispetto alla Dc e al Pci.
Questa non è la dottrina del terzaforzismo.
Il terzaforzismo si pone in un’ottica di divisione delle
forze di sinistra e noi in un’ottica di unità nella
salvaguardia dei principi e delle caratteristiche di
ciascuna”.
Berlinguer nel ’73, dopo gli eventi cileni, abbozza una
teoria del compromesso storico, come progetto di soluzione
della crisi democristiana e così si esprime:
“….La via democratica al socialismo è una
trasformazione progressiva della intera struttura
economica e sociale, dei valori e delle idee guida della
nazione, del sistema di potere e del blocco di forze
sociali in cui esso si esprime.
E’ il problema delle alleanze, il problema decisivo di
ogni rivoluzione e di ogni politica rivoluzionaria. Ecco
perché noi parliamo non di una <alternativa di
sinistra> ma di una <alternativa democratica>,
cioè della prospettiva politica di una collaborazione e
di un’intesa delle forze popolari di ispirazione
comunista e socialista con le forze popolari di
ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro
orientamento democratico”.
La tesi del compromesso storico sino al ’75-’76 si
muove, quindi, lungo lo schema togliattiano dell’accordo
necessario con la Dc, ma è dopo le elezioni del ’78 e
con il sequestro Moro del ’78 che matura l’idea che
ormai la partita politica si gioca intorno alla
definizione del rapporto tra Dc e Pci.
Sul finire degli anni ’70 le vie d’uscita strategiche
alla crisi istituzionale della Dc erano due: il
compromesso storico come rinegoziazione del patto
costituzionale o l’alternativa della sinistra
democratica a guida socialista.
La prima via era astratta, stravagante e confliggente con
le spinte pluralistiche della società, e nella versione
togliattiana era inapplicabile perché con gli anni ’60
il primo centro-sinistra aveva rotto lo schema chiuso ed
organicistico della comunità nazionale e aveva sviluppato
libertà e bisogno di partecipazione non inquadrata.
La seconda via aveva bisogno di tre elementi essenziali:
la guida socialista, il riequilibrio delle forze delle due
sinistre, il gradimento dei ceti medi produttivi e
professionali sempre in bilico tra garanzia
dell’esistente e gusto del cambiamento.
Il verificarsi di queste condizioni fu impedito dal Pci,
perché avrebbe perso a vantaggio del Psi il suo primato
politico sulla sinistra.
Questo fu il prezzo che Berlinguer ed i suoi successori si
rifiutarono di pagare, preferirono umiliare il Pci davanti
alla Dc piuttosto che porre in discussione il carattere di
primo partito storico della sinistra che il Pci si
attribuiva.
Gli anni ottanta sono gli anni dell’impazzimento della
sinistra di opposizione: vi è tutto ed il contrario di
tutto: l’alternativa e le larghe intese, il governo
diverso ed il governo dei tecnici, l’unità delle
sinistre ed il ritorno ai tempi bui del social-fascismo,
il fronte sociale comune e la lacerazione sindacale,
l’eurocomunismo e la richiesta del referendum contro gli
euromissili, il produttivismo e l’ecologismo,
l’alleanza dei produttori e la difesa di tutte le
richieste di dilatazione della spesa pubblica.
Il partito è diventato il fine del partito.
La politica veniva messa in parentesi a vantaggio
dell’agitazione.
Insomma con un’Italia diversa, il Pci tornava alle
formule pan-negativa e viveva una curiosa stagione di
modernizzazione: l’uso di strumenti nuovi per tornare ad
una condizione antica.
E’ vero che con la segreteria Natta viene abbandonata la
squalifica democratica del governo Craxi e viene
archiviata la richiesta del governo diverso, ma è
promosso il referendum sulla scala mobile. Si passa
dall’appello alla base sindacale all’appello
all’elettorato politico solo per rispetto alla memoria
di Berlinguer.
Questo fenomeno indica una depoliticizzazione del Pci: il
prevalere della sua struttura burocratica nella sua
capacità di produzione politica. Si tratta, dunque, di un
fenomeno molto diverso dalla crisi politica della Dc e, al
tempo stesso, di un fenomeno parallelo.
Il Psi negli anni ’80 cerca nella linea della
governabilità, la soluzione politica alla domanda di
permanenza della democrazia in Italia.
Ma il punto cardine per il successo di tale strategia è
la presa di coscienza da parte del Psi del carattere di
crisi costituzionale, e non semplicemente di crisi
politica del periodo che si viveva.
La fine dell’ipotesi di un governo diverso offriva al
Psi l’occasione di sconfiggere l’altro disegno
inaccettabile per le forze socialiste e laiche e per la
democrazia italiana: la pretesa della Dc di De Mita di
dare vita ad un blocco moderato con la Dc al centro.
Il disegno era semplice e chiaro: saldare con un rigoroso
incontro la nullità della politica e la concretezza del
potere.
La presidenza socialista può essere l’ostaggio di una
politica affievolita e per questo rappresenta per la Dc un
elemento non secondario del suo disegno. Nella sua arte
del potere senza politica la Dc ha sempre saputo diminuire
il suo livello politico conservando il suo profilo di
potere.
Questa politica mira alla separazione di Craxi dal suo
partito, cioè la sterilizzazione politica del Psi.
Il Psi non seppe elaborare una risposta a questa sfida. Il
corpo politico del Psi non reagì: cominciò il lento e
fatale processo di involuzione.
Solo i mediocri studiosi della nostra storia possono
ridurre la frattura nella sinistra italiana, che si
approfondì negli anni ’80, allo studio delle diverse
qualità personali di Craxi e di Berlinguer.
Il cosiddetto duello a sinistra non fu limpido scontro tra
due visioni della prospettiva politica della sinistra che
doveva vincere con i suoi colori, perché i due partiti si
illusero di poter vincere da soli con l’aiuto dei pezzi
più affini della Dc. Tutto ciò avveniva mentre si apriva
la crisi di ruolo della Dc.
Sia il Pci che il Psi non capirono le qualità della crisi
di sistema che faceva da sfondo al declino democristiano.
Essi furono vittime di antiche ambizioni. Il Psi si
rassegnò nell’attesa dei tempi lunghi del riequilibrio
a sinistra, ed il Pci fu dominato dal principio di
continuità e di diversità.
Fu così che la crisi della Dc crollò addosso alla
sinistra italiana, prima sul Psi che si frantumò e poi
sugli eredi del Pci, condannati ad essere
nell’anticamera di tutti i centristi di turno.
Craxi al Congresso di Bari del ’91, con grande onestà,
di fronte alla marea montante dell’anti-politica, che
seppe bene individuare, disse con pudore e con tristezza:
“In un libro- intervista di alcuni anni fa, Giovanni
Spadolini ricorda e fa suo un significativo monito di Ugo
La Malfa: <Se capeggiassi un movimento di rivolta al
sistema – mi disse – avrei tre, quattro milioni di
voti. Non li potrò mai avere questi voti. Sono un uomo
del sistema, della democrazia, così come è nata dopo la
Liberazione, mi muovo nel quadro dei partiti. L’ansia
antipartitica che sta investendo il Paese non può essere
accarezzata. Il compito di noi politici è di incanalarla,
non di servirla o essere asserviti ad essa>”
E Craxi aggiunse di suo:
“penso che questo sia anche il compito nostro”.
Era l’annuncio di una difficoltà di sistema.
Il Pci salvò un po’ di truppe e tutta l’intendenza,
ma ancora oggi deve inventare artifìci elettorali per
sperare in un avallo del neocentrismo.
In politica, l’abilità tattica aiuta a sopravvivere, ma
non favorisce una accumulazione di risorse di lungo
periodo.
Non usciremo dal tunnel degli anni ’80 se la sinistra
storica non avrà regolato i conti con la sua elaborazione
teorica e con i suoi comportamenti pratici.
Le strade sono due. Una ha tempi lunghi: attendere
l’arrivo di nuove generazioni, libere dai vincoli della
memoria e intrise dei valori delle lotte dei nuovi tempi.
L’altra è più dolorosa ma più rapida: liberarsi dalla
soggezione del centro dopo essersi liberati dal complesso
della unità con la sinistra anti-sistema.
Ma questo non è il tema di oggi. Lo richiamo perché
ritengo che gli errori e le debolezze degli anni ’80,
non sanati e non assorbiti, aprono la strada ad altri
ritardi, ad altre negligenze e ad altre pericolose
illusioni.
Cari Compagni,
voi siete animati da una forte passione che vi spinge a
riprendere una lotta antica ignorando ostacoli materiali e
difficoltà tecniche. In questi casi vi è sempre il
pericolo di fare la fine della generosa cavalleria polacca
contro i carri armati tedeschi.
C’è un solo rimedio a questo nuovo ostacolo. Verificare
se possediamo ancora la forza di quelle idee che nei
sedici anni di Segreteria Craxi sconvolsero il mondo
politico italiano.
Craxi cadde perché aveva osato.
Craxi cadde perché aveva previsto.
Craxi cadde perché aveva agito.
E’ vero, ma il fronte ampio delle ostilità si formò
intorno ad una preoccupazione: Craxi aveva posto il
problema della crisi dell’egemonia Dc nella vita di
governo del Paese.
La sinistra storica oggi sarà oggetto delle stesse cure
che subì Craxi perché è aperta la questione della guida
del Paese dopo la crisi della cosiddetta II° Repubblica.
Cari Compagni,
fate che le sofferenze di Craxi e dei Socialisti che
osarono non abbiano a ripetersi.
Roma, Hotel Summit
Commemorazione Craxi-27 genn. 06
offerto il peso di una lunga sosta tra forze politiche
moderate e storicamente ostili alla propria causa.
Il ricordo ed il rispetto per il leader Bettino Craxi che
trent’anni fa si assunse il faticoso compito di tirare
fuori dalle secche del declino il Psi, non può essere
rituale e meramente commemorativo.
Questi furono i temi dell’agenda di partito ereditati da
Craxi nel ’76 al Midas?
Dieci punti erano all’o.d.g.
1. Come si può recuperare un partito rassegnato e
sfibrato ad una sfida ardua contro il consociativismo
dilagante che copriva i quattro quinti dell’elettorato;
2. come si possono ricomporre le divisioni della sinistra
in una strategia di alternativa;
3. come si può governare un paese, attraversato dal
terrore e dalla paura, con una sinistra divisa su
strategie non unitarie;
4. come proseguire una collaborazione di governo con una
democrazia cristiana in declino e sempre più arroccata su
linee di progressiva sottomissione all’egemonia del Pci;
5. come affrontare i poteri antichi e dominanti,
refrattari ad ogni azione di modernizzazione;
6. come imbrigliare i nuovi poteri ostili ad ogni vincolo
ed interessati al prolungarsi della paura e del caos;
7. come ricomporre il quadro sociale nonostante il
persistere degli effetti delle sbornie movimentistiche
consumate all’insegna del “tutto e subito;
8. come frenare l’ondata ribellistica ed indirizzarla
verso un mutamento istituzionale in equilibrio tra spinta
di partecipazione e necessità d’autorità;
9. come attrezzare il Paese a fronteggiare i processi
internazionali di integrazione e quelli nazionali di
disgregazione;
10. come rinegoziare in un assetto stabile di alleanza una
nuova gerarchia internazionale di potenze.
Questo era il panorama politico italiano nel luglio del
1976.
Ma su una questione oggi mi vorrei fermare. E’ la
questione dei rapporti tra socialisti e comunisti durante
la crisi storica della Dc degli anni 70/80.
Il sequestro di Aldo Moro nel marzo del 1978 chiude il
ciclo trentennale dell’egemonia democratico-cristiana
nel sistema politico italiano.
Nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro i tre
partiti-pilastri nella edificazione del sistema
democratico repubblicano affrontano la crisi vera della
prima repubblica: il declino dell’egemonia politica
della Dc.
Una straordinaria manipolazione dell’informazione copre
una rottura sistemica e la trasforma in una querelle tra
fautori della fermezza e sostenitori della trattativa
umanitaria.
In realtà la Dc non poteva affidarsi solo alla magia di
Moro per evitare l’esaurimento di funzione di partito
cristiano, giunto al potere non per un aumento della
pratica cristiana e dello spirito religioso, ma per il
crollo delle forze laiche e liberali tradizionali.
Il Partito Socialista nel Congresso di Roma del 1976, con
la Segreteria De Martino, aveva proposto una strategia
dell’alternativa che implicava”un diverso rapporto di
forze tra Socialisti e Comunisti”.
Il disastro elettorale del Psi nel ’76 portò al Midas e
alla segreteria Craxi.
Il Partito comunista, dopo il voto del 1976, si convinse
che il Psi aveva esaurito il suo ruolo e che ormai si
apriva una stagione a due: Dc e Pci, nell’immediato e
nella prospettiva.
Perché parto dai drammatici giorni dell’aprile-maggio
1978 per affrontare il tema del cosiddetto duello a
sinistra tra Craxi e Berlinguer?
Perché in quelle poche settimane si consumò il tragico
gioco-verità tra Psi e Pci: la diversa valutazione della
qualità e della profondità della crisi della Dc accecò
i comunisti e illuminò di false speranze i socialisti.
Il dissidio tra socialisti e comunisti non è
riconducibile alla contrapposizione: riformismo e
rivoluzionarismo, gradualismo e antagonismo, sinistra di
Governo e sinistra anti-sistema, socialismo dal volto
umano e autoritarismo di sinistra, democrazia aperta e
centralismo democratico, occidente ed oriente, Welfare
europeo e terzomondismo, sono categorie e schemi che
dicono poco, perché Pci e Psi, nella loro storia furono
attraversati dallo stesso bene e dallo stesso male, sia
pure in misura ed in epoche diverse.
Sino al 1945 la divisione tra socialisti e comunisti è un
grande problema nazionale che interessa una vasta area
popolare maggioritaria nella parte attiva, dinamica e
decisiva per la rinascita dell’Italia.
Con il ’46-’48, cambia il quadro di riferimento del
sistema politico. Le forze di popolo che si preparano a
guidare il Paese sono tre: cattolici, socialisti e
comunisti.
La Democrazia Cristiana assunse il ruolo di garante della
pacificazione nazionale e dell’ordine occidentale e
nell’affrontare la questione sociale si attestò su una
linea neo-corporativa e statalista.
Fu così che nell’agire politico entrò di prepotenza il
popolarismo cattolico che egemonizzò tutto il moderatismo
italiano.
Da quel momento il campo della sinistra sociale (i
sindacati) e della sinistra politica fu arato da tre
grandi forze popolari: Dc, Psi, Pci.
La storia di ognuno di questi partiti entrò nella storia
degli altri.
Le interferenze non furono di tipo riformistico, ma ebbero
una forte valenza politica perché erano finalizzate a
governare la transizione democratica e ad egemonizzare il
sistema.
I tre partiti di massa non sono tre varianti di una comune
strategia riformista.
La Dc non è un partito di difesa religioso, ma è aiutato
dalla Chiesa ad isolare grandi quote di elettorato
popolare dall’influenza della sinistra socialista e
comunista.
Dopo la fase frontista ed unitaria, socialisti e comunisti
non si sono divisi sulla costruzione di una comune
prospettiva storica (l’alternativa di sinistra), perché
questa era inconciliabile con l’appartenenza a due campi
internazionali diversi. Essi si sono combattuti, lacerati
e sgambettati nella definizione dei rapporti di governo o
di opposizione con la grande forza popolare dei cattolici,
destinata ad essere centro stabile e di equilibrio del
sistema politico regolato dal bipolarismo mondiale.
Sul dopo ’68 e sul decennio degli anni ’70 si è
scritto molto.
Ma è sempre rimasta nell’ombra una questione decisiva
per una corretta valutazione degli effetti prodotti dal
mutamento sistemico che affiorano negli anni ’70: i due
pilastri della pace politica, la Dc ed il Pci non tengono
più. Per la Dc comincia la fase di esaurimento della
funzione di centro egemone nel rapporto
governo-opposizione; per il Pci si apre una inedita
stagione di perdita del ruolo: si frantuma il potere di un
controllo assoluto di tutta la sinistra sociale e politica
del paese.
Il problema dell’equilibrio e della rappresentanza dei
partiti è in Italia molto diverso da quello di altri
paesi europei, perché i partiti non sono soltanto i
portatori della volontà politica dei loro elettori, ma
sono anche, nella loro differenza costitutiva, il
fondamento della legittimità nazionale.
Sta qui la vera ed unica anomalia del caso Italia: quella
di una nazione che trae la sua identità direttamente
dalle forze che esprimono le differenti opzioni politiche.
Queste forze hanno dunque, rispetto al loro carico di
differenza politica, una nuova aggiunta che è quella di
dover configurare contestualmente la volontà del Paese di
esistere come comunità nazionale unificata attorno alle
istituzioni.
Le istituzioni hanno il loro ultimo fondamento nel
consenso di legittimità di tutte le forze politiche.
Negli anni ’70 la diagnosi socialista e quella comunista
riconoscono la crisi costituzionale ma divergono sulle
soluzioni, sui tempi del “passaggio di mano” e sugli
effetti interni ed istituzionali che avrebbe prodotto
l’innovazione della democrazia compiuta.
Craxi dopo l’elezione a Segretario del Partito , il 17
ottobre del 1976 così enunciava la sua strategia
politica:
“La domanda legittima è: un’alternativa per quale
socialismo?
La nostra risposta data in sintesi: un socialismo non
burocratico e anti-autoritario.
Non un socialismo della miseria. Un socialismo europeo
nella libertà. Da qui discende la necessità di un Psi
forte ed autonomo, di un polo socialista della sinistra
che rappresenti la garanzia, che segua quella che noi
consideriamo la sola strada maestra del socialismo in
Europa occidentale, tanto diversa dalle degenerazioni
dispotiche che abbiamo visto in altri Paesi. Se il Pci si
muove in questa direzione, ciò sarà sottolineato da noi
in modo positivo. Se sta fermo o si muove in modo ambiguo
lo incalzeremo con la nostra critica.
Quanto alla Dc, in essa si concentrano i fondamentali
interessi del mondo conservatore.
E’ difficile ipotizzare una strategia per il socialismo
che veda associata organicamente ed in posizione magari
preminente la Dc, nel suo complesso.
Ho ribadito più volte il concetto di un polo socialista
autonomo rappresentato in primo luogo dal Psi e dal suo
proposito di costituire un elemento di propulsione e di
coordinamento di tutte le forze della sinistra non
comuniste, in piena autonomia rispetto alla Dc e al Pci.
Questa non è la dottrina del terzaforzismo.
Il terzaforzismo si pone in un’ottica di divisione delle
forze di sinistra e noi in un’ottica di unità nella
salvaguardia dei principi e delle caratteristiche di
ciascuna”.
Berlinguer nel ’73, dopo gli eventi cileni, abbozza una
teoria del compromesso storico, come progetto di soluzione
della crisi democristiana e così si esprime:
“….La via democratica al socialismo è una
trasformazione progressiva della intera struttura
economica e sociale, dei valori e delle idee guida della
nazione, del sistema di potere e del blocco di forze
sociali in cui esso si esprime.
E’ il problema delle alleanze, il problema decisivo di
ogni rivoluzione e di ogni politica rivoluzionaria. Ecco
perché noi parliamo non di una <alternativa di
sinistra> ma di una <alternativa democratica>,
cioè della prospettiva politica di una collaborazione e
di un’intesa delle forze popolari di ispirazione
comunista e socialista con le forze popolari di
ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro
orientamento democratico”.
La tesi del compromesso storico sino al ’75-’76 si
muove, quindi, lungo lo schema togliattiano dell’accordo
necessario con la Dc, ma è dopo le elezioni del ’78 e
con il sequestro Moro del ’78 che matura l’idea che
ormai la partita politica si gioca intorno alla
definizione del rapporto tra Dc e Pci.
Sul finire degli anni ’70 le vie d’uscita strategiche
alla crisi istituzionale della Dc erano due: il
compromesso storico come rinegoziazione del patto
costituzionale o l’alternativa della sinistra
democratica a guida socialista.
La prima via era astratta, stravagante e confliggente con
le spinte pluralistiche della società, e nella versione
togliattiana era inapplicabile perché con gli anni ’60
il primo centro-sinistra aveva rotto lo schema chiuso ed
organicistico della comunità nazionale e aveva sviluppato
libertà e bisogno di partecipazione non inquadrata.
La seconda via aveva bisogno di tre elementi essenziali:
la guida socialista, il riequilibrio delle forze delle due
sinistre, il gradimento dei ceti medi produttivi e
professionali sempre in bilico tra garanzia
dell’esistente e gusto del cambiamento.
Il verificarsi di queste condizioni fu impedito dal Pci,
perché avrebbe perso a vantaggio del Psi il suo primato
politico sulla sinistra.
Questo fu il prezzo che Berlinguer ed i suoi successori si
rifiutarono di pagare, preferirono umiliare il Pci davanti
alla Dc piuttosto che porre in discussione il carattere di
primo partito storico della sinistra che il Pci si
attribuiva.
Gli anni ottanta sono gli anni dell’impazzimento della
sinistra di opposizione: vi è tutto ed il contrario di
tutto: l’alternativa e le larghe intese, il governo
diverso ed il governo dei tecnici, l’unità delle
sinistre ed il ritorno ai tempi bui del social-fascismo,
il fronte sociale comune e la lacerazione sindacale,
l’eurocomunismo e la richiesta del referendum contro gli
euromissili, il produttivismo e l’ecologismo,
l’alleanza dei produttori e la difesa di tutte le
richieste di dilatazione della spesa pubblica.
Il partito è diventato il fine del partito.
La politica veniva messa in parentesi a vantaggio
dell’agitazione.
Insomma con un’Italia diversa, il Pci tornava alle
formule pan-negativa e viveva una curiosa stagione di
modernizzazione: l’uso di strumenti nuovi per tornare ad
una condizione antica.
E’ vero che con la segreteria Natta viene abbandonata la
squalifica democratica del governo Craxi e viene
archiviata la richiesta del governo diverso, ma è
promosso il referendum sulla scala mobile. Si passa
dall’appello alla base sindacale all’appello
all’elettorato politico solo per rispetto alla memoria
di Berlinguer.
Questo fenomeno indica una depoliticizzazione del Pci: il
prevalere della sua struttura burocratica nella sua
capacità di produzione politica. Si tratta, dunque, di un
fenomeno molto diverso dalla crisi politica della Dc e, al
tempo stesso, di un fenomeno parallelo.
Il Psi negli anni ’80 cerca nella linea della
governabilità, la soluzione politica alla domanda di
permanenza della democrazia in Italia.
Ma il punto cardine per il successo di tale strategia è
la presa di coscienza da parte del Psi del carattere di
crisi costituzionale, e non semplicemente di crisi
politica del periodo che si viveva.
La fine dell’ipotesi di un governo diverso offriva al
Psi l’occasione di sconfiggere l’altro disegno
inaccettabile per le forze socialiste e laiche e per la
democrazia italiana: la pretesa della Dc di De Mita di
dare vita ad un blocco moderato con la Dc al centro.
Il disegno era semplice e chiaro: saldare con un rigoroso
incontro la nullità della politica e la concretezza del
potere.
La presidenza socialista può essere l’ostaggio di una
politica affievolita e per questo rappresenta per la Dc un
elemento non secondario del suo disegno. Nella sua arte
del potere senza politica la Dc ha sempre saputo diminuire
il suo livello politico conservando il suo profilo di
potere.
Questa politica mira alla separazione di Craxi dal suo
partito, cioè la sterilizzazione politica del Psi.
Il Psi non seppe elaborare una risposta a questa sfida. Il
corpo politico del Psi non reagì: cominciò il lento e
fatale processo di involuzione.
Solo i mediocri studiosi della nostra storia possono
ridurre la frattura nella sinistra italiana, che si
approfondì negli anni ’80, allo studio delle diverse
qualità personali di Craxi e di Berlinguer.
Il cosiddetto duello a sinistra non fu limpido scontro tra
due visioni della prospettiva politica della sinistra che
doveva vincere con i suoi colori, perché i due partiti si
illusero di poter vincere da soli con l’aiuto dei pezzi
più affini della Dc. Tutto ciò avveniva mentre si apriva
la crisi di ruolo della Dc.
Sia il Pci che il Psi non capirono le qualità della crisi
di sistema che faceva da sfondo al declino democristiano.
Essi furono vittime di antiche ambizioni. Il Psi si
rassegnò nell’attesa dei tempi lunghi del riequilibrio
a sinistra, ed il Pci fu dominato dal principio di
continuità e di diversità.
Fu così che la crisi della Dc crollò addosso alla
sinistra italiana, prima sul Psi che si frantumò e poi
sugli eredi del Pci, condannati ad essere
nell’anticamera di tutti i centristi di turno.
Craxi al Congresso di Bari del ’91, con grande onestà,
di fronte alla marea montante dell’anti-politica, che
seppe bene individuare, disse con pudore e con tristezza:
“In un libro- intervista di alcuni anni fa, Giovanni
Spadolini ricorda e fa suo un significativo monito di Ugo
La Malfa: <Se capeggiassi un movimento di rivolta al
sistema – mi disse – avrei tre, quattro milioni di
voti. Non li potrò mai avere questi voti. Sono un uomo
del sistema, della democrazia, così come è nata dopo la
Liberazione, mi muovo nel quadro dei partiti. L’ansia
antipartitica che sta investendo il Paese non può essere
accarezzata. Il compito di noi politici è di incanalarla,
non di servirla o essere asserviti ad essa>”
E Craxi aggiunse di suo:
“penso che questo sia anche il compito nostro”.
Era l’annuncio di una difficoltà di sistema.
Il Pci salvò un po’ di truppe e tutta l’intendenza,
ma ancora oggi deve inventare artifìci elettorali per
sperare in un avallo del neocentrismo.
In politica, l’abilità tattica aiuta a sopravvivere, ma
non favorisce una accumulazione di risorse di lungo
periodo.
Non usciremo dal tunnel degli anni ’80 se la sinistra
storica non avrà regolato i conti con la sua elaborazione
teorica e con i suoi comportamenti pratici.
Le strade sono due. Una ha tempi lunghi: attendere
l’arrivo di nuove generazioni, libere dai vincoli della
memoria e intrise dei valori delle lotte dei nuovi tempi.
L’altra è più dolorosa ma più rapida: liberarsi dalla
soggezione del centro dopo essersi liberati dal complesso
della unità con la sinistra anti-sistema.
Ma questo non è il tema di oggi. Lo richiamo perché
ritengo che gli errori e le debolezze degli anni ’80,
non sanati e non assorbiti, aprono la strada ad altri
ritardi, ad altre negligenze e ad altre pericolose
illusioni.
Cari Compagni,
voi siete animati da una forte passione che vi spinge a
riprendere una lotta antica ignorando ostacoli materiali e
difficoltà tecniche. In questi casi vi è sempre il
pericolo di fare la fine della generosa cavalleria polacca
contro i carri armati tedeschi.
C’è un solo rimedio a questo nuovo ostacolo. Verificare
se possediamo ancora la forza di quelle idee che nei
sedici anni di Segreteria Craxi sconvolsero il mondo
politico italiano.
Craxi cadde perché aveva osato.
Craxi cadde perché aveva previsto.
Craxi cadde perché aveva agito.
E’ vero, ma il fronte ampio delle ostilità si formò
intorno ad una preoccupazione: Craxi aveva posto il
problema della crisi dell’egemonia Dc nella vita di
governo del Paese.
La sinistra storica oggi sarà oggetto delle stesse cure
che subì Craxi perché è aperta la questione della guida
del Paese dopo la crisi della cosiddetta II° Repubblica.
Cari Compagni,
fate che le sofferenze di Craxi e dei Socialisti che
osarono non abbiano a ripetersi.