Sangue e merda, oggi

Intervista a Rino Formica su Il Fatto del 14-01-2016

Ovviamente si comincia con Quarto e Beppe Grillo, con l’ideologia e la religione della trasparenza, con la trappola morale e con l’ingenuità, con il mito sempre infranto della purezza e quello invece roboante ma inconcludente della protesta “che non può essere politica”, dice, “perché la politica è mediazione dei conflitti e dei contrasti. E se stai nelle istituzioni non puoi mica protestare, devi governare”. Ma dopo un po’, ascoltandolo, si capisce che a lui il Movimento di Grillo sta forse meno antipatico di quanto non sarebbe lecito immaginarsi, o forse considera i cinque stelle un epifenomeno trascurabile, chissà, come una nuvola destinata a essere portata via dal vento: è con Renzi che lui ce l’ha di più. E allora è sul nome del presidente del Consiglio che Rino Formica calca la voce e anima il suo corpo di ottantanovenne rapido e ben conservato, perché “la riforma costituzionale di Renzi è inutile”, si accende, “è persino dannosa. Io voterò ‘no’ al referendum.

Ma senza aderire al comitato per il ‘no’, perché io non sto mica con gli immobilisti alla Zagrebelsky, e non coltivo nemmeno feticismi costituzionali. Tutto il contrario. Penso però che prima della seconda parte della Costituzione bisogna modificare la prima, che è già stata consegnata all’obitorio con i trattati internazionali. Bisogna modificare quella parte della Costituzione che stabilisce le norme vincolanti sui diritti sociali e politici, quelle regole ideali che adesso sono state superate, affidate al vincolo estero o al vincolo di bilancio”.

E sembra che lui, due volte ministro delle Finanze, con Spadolini e con Andreotti, poi ministro del Lavoro tra il 1987 e il 1989 nei brevissimi governi Goria e De Mita, adesso guardi con un certo partecipe dispetto il formicolio della politica contemporanea, la politica come gioco intellettuale e ginnastica del pensiero, passione e umori, una malattia dalla quale non si guarisce mai, nemmeno alle soglie dei novant’anni. “Guardi”, dice accompagnando le parole con un’ombra di sorriso, “dopo Mani Pulite solo una classe politica di coglioni poteva accettare il perpetuarsi della rivoluzione giudiziaria, accontentandosi degli onori formali del potere”. E questa è la spiritosa premessa, sta a monte di tutto, tutto precede e tutto filtra, come un paio di lenti attraverso le quali Formica osserva con un certo acuto cinismo, appena incrinato da una nota di bonario disprezzo, la pazzotica realtà dell’Italia istituzionale. Sangue e merda, diceva lui un tempo, “e intendevo dire passione e contaminazione”. Quella contaminazione che Grillo, per esempio, vuole sfuggire. “Ma nessuna forma di potere può rinunciare a confrontarsi con il male”. E allora Grillo dovrebbe studiare Andreotti? “Non dico questo. Ma fare politica significa trovare un punto di equilibrio tra il reale e l’ideale. Ce lo spiegava Nenni quando eravamo ragazzi”. Nenni coniò quella famosa, e abusata, espressione con la quale ammoniva di ben guardarsi dai puri, perché poi arriva sempre un puro più puro che ti epura. “Era l’esasperazione del moralismo come canone interpretativo della realtà e della politica. Ma bisogna anche guardarsi dagli iper-realisti, io sono molto critico nei confronti delle falangi del realismo straripante, anche perché li trovo fasulli”. E Formica parla di Renzi, evidentemente. “Lui usa il realismo per piegare gli idealisti del suo partito. Ma non ha nessuna visione. E’ un uomo dai tratti tipicamente strapaesani”. Renzi e Grillo, dunque. “Un provinciale e un populista”.E seduto in poltrona, con alle spalle un proclama dei tempi della Repubblica romana, Formica tratteggia in pochi, precisi dettagli l’aporia e le contraddizioni che secondo lui rendono impossibile la vita del Movimento 5 stelle nelle istituzioni: “Dc e Pci erano partiti di matrice idealistica”, dice.  

 

“Ma l’eccesso di ideale trasforma la mediazione nobile della politica in sensalìa, in una forma di contrattualismo interessato”.E qui Formica fa una pausa, tono ironico-didattico: “Prendi Alfano, tanto per capirsi.Quello, sulle unioni civili, sarebbe disposto a cedere qualsiasi cosa, basta che gli dai mezzo sottosegretario”.Chiusa parentesi. “Ecco. Una volta che la mediazione è stata declassata in sensalìa, la trasformazione, o meglio la deformazione della politica è inevitabile. E allora ci si rifugia nei fondamentalismi, si rompe ogni rapporto tra reale e ideale. E si arriva dunque ai cinque stelle, cioè al punto in cui i popolarismi diventano populismo. Per noi socialisti il popolo era il proletariato, cioè una classe dotata di coscienza, non una plebe. Il populismo assume invece il compito di fare sue le pulsioni plebee”. Ma perché non riescono a governare, i 5 stelle? “Ci arrivo. Il Movimento cinque stelle è il collettore di tutte le proteste, di tutte le pulsioni che non trovavano più sfogo in una politica capace di mediare e ricomporre i conflitti... >>> CONTINUA A LEGGERE

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