Ma senza aderire al comitato per il ‘no’, perché io non sto mica con
gli immobilisti alla Zagrebelsky, e non coltivo nemmeno feticismi
costituzionali. Tutto il contrario. Penso però che prima della seconda
parte della Costituzione bisogna modificare la prima, che è già stata
consegnata all’obitorio con i trattati internazionali. Bisogna modificare
quella parte della Costituzione che stabilisce le norme vincolanti sui
diritti sociali e politici, quelle regole ideali che adesso sono state
superate, affidate al vincolo estero o al vincolo di bilancio”.
E sembra che lui, due volte ministro delle Finanze, con Spadolini e con
Andreotti, poi ministro del Lavoro tra il 1987 e il 1989 nei brevissimi
governi Goria e De Mita, adesso guardi con un certo partecipe dispetto il
formicolio della politica contemporanea, la politica come gioco
intellettuale e ginnastica del pensiero, passione e umori, una malattia
dalla quale non si guarisce mai, nemmeno alle soglie dei novant’anni.
“Guardi”, dice accompagnando le parole con un’ombra di sorriso, “dopo Mani
Pulite solo una classe politica di coglioni poteva accettare il
perpetuarsi della rivoluzione giudiziaria, accontentandosi degli onori
formali del potere”. E questa è la spiritosa premessa, sta a monte di
tutto, tutto precede e tutto filtra, come un paio di lenti attraverso le
quali Formica osserva con un certo acuto cinismo, appena incrinato da una
nota di bonario disprezzo, la pazzotica realtà dell’Italia istituzionale.
Sangue e merda, diceva lui un tempo, “e intendevo dire passione e
contaminazione”. Quella contaminazione che Grillo, per esempio, vuole
sfuggire. “Ma nessuna forma di potere può rinunciare a confrontarsi con il
male”. E allora Grillo dovrebbe studiare Andreotti? “Non dico questo. Ma
fare politica significa trovare un punto di equilibrio tra il reale e
l’ideale. Ce lo spiegava Nenni quando eravamo ragazzi”. Nenni coniò quella
famosa, e abusata, espressione con la quale ammoniva di ben guardarsi dai
puri, perché poi arriva sempre un puro più puro che ti epura. “Era
l’esasperazione del moralismo come canone interpretativo della realtà e
della politica. Ma bisogna anche guardarsi dagli iper-realisti, io sono
molto critico nei confronti delle falangi del realismo straripante, anche
perché li trovo fasulli”. E Formica parla di Renzi, evidentemente. “Lui
usa il realismo per piegare gli idealisti del suo partito. Ma non ha
nessuna visione. E’ un uomo dai tratti tipicamente strapaesani”. Renzi e
Grillo, dunque. “Un provinciale e un populista”.E
seduto in poltrona, con alle spalle un proclama dei tempi della Repubblica
romana, Formica tratteggia in pochi, precisi dettagli l’aporia e le
contraddizioni che secondo lui rendono impossibile la vita del Movimento 5
stelle nelle istituzioni: “Dc e Pci erano partiti di matrice idealistica”,
dice.
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“Ma l’eccesso di
ideale trasforma la mediazione nobile della politica in sensalìa,
in una forma di contrattualismo interessato”.E qui Formica fa una
pausa, tono ironico-didattico: “Prendi Alfano, tanto per
capirsi.Quello, sulle unioni civili, sarebbe disposto a cedere
qualsiasi cosa, basta che gli dai mezzo sottosegretario”.Chiusa
parentesi. “Ecco. Una volta che la mediazione è stata declassata
in sensalìa, la trasformazione, o meglio la deformazione della
politica è inevitabile. E allora ci si rifugia nei
fondamentalismi, si rompe ogni rapporto tra reale e ideale. E si
arriva dunque ai cinque stelle, cioè al punto in cui i popolarismi
diventano populismo. Per noi socialisti il popolo era il
proletariato, cioè una classe dotata di coscienza, non una plebe.
Il populismo assume invece il compito di fare sue le pulsioni
plebee”. Ma perché non riescono a governare, i 5 stelle? “Ci
arrivo. Il Movimento cinque stelle è il collettore di tutte le
proteste, di tutte le pulsioni che non trovavano più sfogo in una
politica capace di mediare e ricomporre i conflitti...
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