«Le
privatizzazioni? Rischiamo di svendere aziende gioiello»
Intervista a Rino Formica sul Quotidiano
Nazionale del 15 Settembre 2011
di Andrea Cangini
COME NEL ’92, l’Italia è al centro di una tempesta finanziaria.
Come nel ’92, il governo ha appena licenziato una manovra lacrime e
sangue. Come nel ’92, potrebbe non bastare: e allora, via con le
privatizzazioni. Come nel ’92, appunto. «Col serio rischio —
riflette Rino Formica — che anche stavolta tutto si risolva nella
consueta operazione predatoria londinese». Dotato di una strepitosa
intelligenza politica, l’ex ministro socialista ha l’esperienza e le
relazioni per parlare con cognizione di causa. Ma viene dalla scuola
della Prima Repubblica, perciò non sempre mette in chiaro quel che sa.
Più spesso allude, coinvolge, per rispondere domanda. Formica esordisce
infatti così: «Crede anche lei che l’Italia sia un Paese dove quasi
nulla possa rimanere segreto?».
Lo credo, ma perché lo dice?
«Perché noto due eccezioni alla regola».
Ossia?
«Il verbale dell’incontro sul Britannia e la lettera indirizzata
dalla Bce al governo italiano».
Intende tirare in ballo Mario Draghi?
«Beh, da direttore generale del Tesoro, Draghi ebbe un ruolo centrale
nell’incontro che nel ’92 si tenne sul Britannia, lo yacht della
Regina d’Inghilterra ormeggiato al largo di Civitavecchia dove
banchieri e investitori anglosassoni valutarono le opportunità di
acquisto dei beni che lo Stato italiano andava a privatizzare».
E Draghi è stato anche l’ispiratore della lettera con cui, i primi
d’agosto, la Bce ha dettato all’Italia le misure necessarie per
evitare il default...
«Appunto. Ma quel che davvero accadde sul Britannia come quel che è
realmente scritto in quella lettera non lo sappiamo».
Come lo spiega?
«Ricordando a me stesso che solo i poteri egemoni riescono a tutelare i
propri segreti».
E qual è il potere oggi egemone?
«Lo stesso di allora, anche se più forte: non certo il potere
politico, ma quello finanziario. Queste cose si decidono a Londra, dove
contano vincoli e legami secolari».
Come definirebbe le privatizzazioni dei primi anni Novanta?
«Una liquidazione predatoria. Tutto cominciò con una campagna stampa
sull’Efim, così come oggi si comincia dalla Grecia per arrivare
all’obiettivo di far fuori l’euro».
Allora era premier Amato. Ha delle colpe?
«Solo nella misura in cui era politicamente debole. E perciò, tra le
altre cose, non riuscì a gestire lo scontro tra i ministri
democrisitiani Barucci, in linea con i predatori londinesi, e Guarino,
ancora legato alla visione fanfaniana dello Stato che gestisce
l’economia. Allora prevalse l’interesse di Londra. E basta».
Qualcuno se ne avvantaggiò?
«Altro che... Accadde quando, nel ’92, fu svalutata la lira».
Chi ci guadagnò?
«Chi si trovava nel sancta sanctorum della Vigilanza, e
non vigilò».
Allude a Bankitalia?
«Ovvio, quello è sempre stato un mondo a parte».
Come finirà con le privatizzazioni, stavolta?
«Dipende. Se a gestirle sarà Tremonti, prevedo che l’esproprio
predatorio non avverrà».
E se ci dovesse essere un ministro di sinistra?
«Avverrà senz’altro. E’ dal 1876 che la sinistra italiana, sempre
intransigente a parole ma pronta al compromesso in pratica, si guadagna
il potere sul terreno dell’economia e della politica di bilancio
eccedendo in zelo rispetto alla destra».
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