Vi dico
perchè Tremonti c'è
di Rino
Formica da Il Riformista del 7 Giugno 2011
Le transizioni
abortite riproducono altre transizioni.
La lunga transizione (20 anni) ha messo in luce la sua vera debolezza:
negare il conflitto dei poteri, ignorare lo spessore materiale della
dialettica sociale e restringere il proprio orizzonte con una chiusura
provinciale per non vedere la caotica unificazione globale.
Si ritenne sufficiente eliminare i più fastidiosi ed inorganici pezzi
del ceto politico ed esaltare il potere salvifico e liberatorio di una
ipocrita evocazione del primato della morale su la politica.
Un’ abile manipolazione delle leggi elettorali completò il quadro: la
rappresentanza non fu lo specchio del paese reale perché trasformò le
minoranze in maggioranza e travolse le regole di garanzia che la
Costituzione aveva fissato.
Fu così che la democrazia organizzata perse solidità e forza e si
ridusse ad un gioco alternativo tra due campi fluidi.
Erano fluidi perché simili nell’affermare l’interclassismo sociale
ed il rifiuto della storia.
Inoltre la mistica del superamento delle ideologie lasciò alla
competizione nei due campi il confronto amministrativo tra un fare
“pulito” ed un fare “interessato”.
Cosa ci dice il voto amministrativo al di là della sconfitta personale
di Berlusconi: ci dice che la politica torna ad essere solida perché la
condizione liquida non può governare una società attraversata da mille
paure.
Quale è la difficoltà che impedisce ai due campi di passare
rapidamente dallo stato fluido alla densità della politica? La risposta
è semplice: le due forze motrici sono sorelle gemelle nate imperfette
da un parto difficile e senza assistenza clinica.
Milano e Napoli sono due risposte diverse allo stesso problema: potrà
lo spontaneismo riformista o il movimentismo magrebino trasformarsi in
democrazia organizzata per l’alternativa che metta a confronto visioni
diverse della riorganizzazione della società e che possa reggere alle
competizioni internazionale in atto per scrivere le nuove regole
disciplinari dei conflitti globali?
Se la politica solidificandosi perde la condizione di liquido mette in
evidenza i corpi estranei e la diversità dei materiali. Il caso
Tremonti è emblematico.
Tremonti viene da studi ben basati: il diritto gli aveva dato le
coordinate, l’apertura libertaria lo aveva guidato nelle scelte
politiche, una sana esperienza di potere lo aveva indotto ad affinare
una cultura di governo fuori dagli schemi tradizionali.
Nella democrazia organizzata del ‘900 il binomio comando ed obbedienza
aveva le radici nel dominio delle ideologie.
Nella democrazia disarticolata della politica fluida il comando e
l’obbedienza hanno perso il carattere nobile dell’adesione ad una
visione per assumere l’aspetto volgare della fedeltà ad un capo.
Tremonti ha ritenuto che nel campo fluido del centro-destra si potesse
operare meglio e si è ritagliato uno spazio con abilità ed
intelligenza: ha assunto il comando con la forza di un valore
individuale e ha scelto di obbedire non alla gerarchia ma ad un progetto
di rigore per evitare la fuoriuscita dall’Europa.
Tremonti capisce cosa avviene nel mondo dopo l’11 settembre del 2001 e
sprovincializza la gestione domestica del “fare”.
Questa scelta provoca il rispetto nel centro-destra e l’incomprensione
del centro-sinistra. Il paradosso di Tremonti è tutto qui: nella
politica fluida è a suo agio nel centro-destra perché è superiore al
suo capoufficio, ma, nella politica forte il suo posto nel centro-destra
è innaturale perché la politica di progetto è visione del cambiamento
che è per sua natura politica di sinistra. Ma la sinistra di oggi non
lo ama perché preferisce la politica fluida che dà spazio e forza alla
irrazionalità movimentista. È l’antiberlusconismo che finisce per
essere berlusconismo.
Tremonti sa che la politica del rigore ha salvato i risparmiatori ed il
sistema bancario, e sa, anche, che la politica del rigore non agevola
una rapida crescita.
Tremonti sa che una politica di rigore e di crescita richiede un
progetto di riforma contro gli sprechi e l’evasione fiscale che sono
saldamente difesi dalle corporazioni, guidate da potenti apparati
burocratici.
Questi poteri dopo la fine dei partiti sono diventati i bracci operativi
del notabilato politico per controllare il consenso.
Ecco il nuovo cancro che minaccia il corpo malato del sistema -paese: il
potere dispotico dei boiardi degli apparati tecnoburocratici che
ricevono forza dalla assenza di politica forte.
Io non so se Tremonti ha la voglia e la forza per mettere le carte in
tavola: il passaggio dalla fluidità della politica alla solidità di
uno scontro politico e sociale di sistema richiede una soluzione di
sistema.
Queste soluzioni hanno bisogno di un alto garante istituzionale e di un
largo consenso di forze anche nell’attuale Parlamento.
Alla rivolta degli elettori deve seguire una reazione dei parlamentari.
Può nascere in Parlamento il movimento art. 67 : «Ogni membro del
Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato»!
Nessuno lo sa. Sappiamo, però, che la crisi 90/92 nacque in Parlamento
ed è in Parlamento che dovrà ricomporsi se vogliamo che la politica
forte non cada nelle mani delle voraci corporazioni. Nessuna esclusa. È
durato a lungo il sonno del Parlamento, oltre c’è il default
istituzionale.
Rino Formica |