Intervento di Rino Formica Al
convegno la "Strage di Bologna"
Inizia
così la fine del “secolo socialdemocratico” e l’implosione del
comunismo internazionale. |
In
Italia il 1980 si apre con l’uccisione
di Mattarella e di Bachelet, il terrorismo continua a mietere vittime.
Tra queste seguiranno il giornalista Tobagi ed i giudici Minervini,
Galli e Amato. Il 1980 è l’anno della forte espansione della P2 che attraverso il “Corriere della Sera”, con una innaturale combinazione tra estremismo sindacale aziendale e gestione autoritaria di destra, lancia il suo manifesto politico di restaurazione con l’articolo: Rinnovarsi o tramontare del 24 novembre. Dopo
la fine dell’unità nazionale e dopo
la tragedia della politica della fermezza che portò alla morte
di Moro, il Psi torna al Governo dopo 6 anni di tormentato sostegno
esterno. Il 4
aprile i socialisti partecipano al governo con una numerosa
delegazione e trovano nel Presidente del Consiglio Cossiga il
traghettatore attento al cambio di ciclo politico. Io
assumo l’incarico di Ministro dei Trasporti e nei primi quattro mesi
di Governo mi trovo a dover osservare da vicino le due stragi
misteriose e difficilmente sondabili
: Ustica e Stazione di Bologna. Se esse non sono l’unico simbolo del
mutamento di ciclo internazionale, certamente costituiscono due eventi
da visitare con speciale attenzione. Il mistero lungo e
imperforabile che avvolge queste stragi può avere una sola
plausibile spiegazione: il fine immediato della strage ha coperto un
ancora più inconfessabile azione
o messaggio di barbaria politica tutta interna ad un gioco
internazionale che non
seppe distinguere più i
nemici dagli alleati. E’
dallo studio di queste due stragi che ricaviamo una quasi certezza:
verità storica e verità giudiziaria o non coincidono o, addirittura,
confliggono. Nel
1992, mentre si preparava la demolizione dell’ordine istituzionale
così faticosamente costruito nella prima fase della vita
repubblicana, in un seminario
universitario su “Le nuove
fonti per la storia dell’Italia repubblicana”, il Prof. Adolfo
Pepe consegnò una relazione di base che avrebbe dovuto aprire una
seria discussione di metodo
e di merito. Non fu così perchè la ricerca storica e politica di
questi ultimi vent’anni è stata caratterizzata da due devianti
esigenze: a) occultare il passato in base al principio chi
ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato; b) presentare il presente
come base verso l’ignoto secondo il principio che la navigazione a
vista consente sempre un facile cambio di rotta. Il
Prof. Pepe affrontò il tema più scabroso:esaminare i problemi
che insorgono nell’uso delle fonti nella storiografia dell’Italia
contemporanea. Provo
a sintetizzare la linea indicata dal Prof. Pepe per capire come sono
nate le difficoltà che impediscono oggi una agevole separazione tra
verità diverse. All’inizio
del primo lancio di una
storiografia militante troviamo una diffusa produzione
saggistica di tipo giornalistico. Il suo filo conduttore era “il
disvelamento dei segreti occulti del potere”. Secondo
queste ricerche l’eversione era
messa in opera da consistenti forze del ceto politico ed
istituzionale.
Era nelle forze di maggioranza di governo, il
covo delle forze golpiste
(piano Solo).
Il testo base di questo filone è “La strage di Stato”, ed
il suo approfondimento è l’opera in 6 volumi di Sergio Flamini
“Il partito del golpe”.
Ma negli anni ’70 tre avvenimenti impongono un cambio di
analisi:
l’esplosione del terrorismo di destra e di sinistra,
l’uccisione di Moro, la strategia eversiva della P2.
Dalla “controinformazione” si passa ad una riflessione
teorica “volta a fissare sul piano giuridico-politologico i nuovi
caratteri assunti dallo Stato e dal potere durante la democrazia
repubblicana”.
“In sintesi la riflessione si spostava dalla storia
dell’Italia repubblicana alla crisi della forma democratica dello
Stato e all’alterazione della qualità del potere. Punto
centrale della critica era considerato il blocco del sistema politico
a causa della
conventio ad escludendum verso il Pci.
E’ nel 1988 che F.
De Felice legge in dimensione storica quanto è accaduto utilizzando
la duplice categoria del “doppio Stato e della doppia
lealtà”.
E’ invece con gli studi di Pastorelli e
Di Nolfo che vengono ricostruiti i nessi di
condizionamento tra quadro
internazionale rigido e legittimazione di una classe dirigente
nazionale che agiva per mandato delle
potenze egemoni.
Ed è così che nel
1991 Ferraioli apre una discussione sull’utilizzo delle fonti in
prevalenza giudiziarie, parlamentari,
memorialistiche e giornalistiche.
Il problema centrale posto da Ferraioli era: “con quali
fonti e con quali metodologie si poteva affrontare nella storia
dell’Italia contemporanea il perno centrale della natura e della
trasformazione del sistema istituzionale dello Stato democratico e del
conflitto sociale e politico svoltosi
nel confine tra legalità, illegalità e
metalegalità tra violenza aperta, indotta e occulta, tra
identità di gruppo, ruolo e collocazione nazionale e lealtà
internazionale”.
Quali sono le difficoltà che incontrano gli storici per
svolgere la difficile opera di ricavare
la verità storica dall’immenso materiale del giudice togato e del
giudice politico parlamentare?
Come può lo storico rivedere, rielaborare e rileggere le fonti
se il giudice - storico della politica e dello Stato e la classe
politica che è diventata storico
di se stessa con le indagini
parlamentari, hanno già scritto che: “La
storia dell’Italia contemporanea si riduce alla storia di una trama
oscura e di una serie di complotti, che la
vicenda visibile è nient’altro che apparenza,che la
sostanza, la storia autentica, la “verità” si annida proprio
nelle zone buie sulle quali l’unica luce possibile è appunto quella
gettata dall’inchiesta giudiziaria e parlamentare. Nella storia
dell’Italia unita non si era mai verificata una situazione simile,
mai la magistratura e la
classe politica si erano
trasformate in modo così sistematico in storici, al punto da indurre
in alcuni l’ipotesi che il loro lavoro di indagine,
raccolta e ricostruzione dei fatti, fosse così ampio, organico
e correlato da sostituire altre fonti.
Dal carattere tipico di fonte integrativa questa attività
della magistratura e della classe politica per l’imponenza
probatoria, per la qualità dell’oggetto trattato, per la
sistematicità e il lungo arco cronologico affrontato ha assunto i
connotati di fonte sostitutiva di altre, imponendosi come fonte unica
per la storia del potere politico nell’Italia repubblicana, per lo
meno a partire dagli anni Sessanta”.
Dopo il lungo periodo della guerra fredda con le sue regole
e con i suoi condizionamenti, si è aperto agli inizi degli anni ’90
un periodo confuso.
La fine di un ciclo politico istituzionale, il crollo del
comunismo e il blocco di un modello capitalistico di tipo
“specialmente” americano fanno affiorare una domanda storica ancor
più complessa e drammatica: dove è il
nesso tra sovranità limitata e
identità nazionale? Affiora
così la questione delle radici, delle basi della Costituzione e della
legittimazione ma soprattutto la ricerca dei fondamenti etici, dei
valori culturali, dei legami geostorici della stessa comunità
nazionale. Queste
questioni ci pongono altre domande: perchè
la politica sia di maggioranza che
di opposizione affidò
alla giustizia la ricerca della verità storica e piegò le
commissioni parlamentari d’inchiesta al ruolo di organi di ricerca
para-giudiziari? Alle
forze politiche ufficiali
fu affidato il compito di diffondere una
propria interpretazione del terrorismo, delle stragi e della
violenza politica secondo parametri generici ed
evanescenti ( CIA e KGB, erano i responsabili di tutto ciò che
avveniva nel mondo regolato da Yalta), oppure secondo
semplificazioni ovvie e banali (ciò che danneggiava i palestinesi era
opera del Mossad e ciò che colpiva gli interessi d’Israele portava
il segno della mano dell’OLP e del terrorismo islamico). Il
tutto ruotava intorno ad uno scolastico grigiore: le stragi di destra
erano finalizzate al
colpo di Stato, il terrorismo rosso mirava alla mobilizzazione delle
masse deluse dall’entrismo istituzionale della sinistra sociale e
politica con lo scopo di rendere incandescente il conflitto di classe. Queste
due visioni contrapposte andavano bene sia ai sostenitori di un
centrismo avverso agli opposti estremismi, sia ai sempre presenti
costruttori di unità nazionali. La
debolezza logica dei centristi e dei nazional-unitari, era nella visione
provinciale e domestica dei fenomeni eversivi. Yalta
non fu solo un trattato di pace/ bilanciato tra le due grandi potenze
imperiali uscite vittoriose dalla II guerra mondiale, ma fu anche un
accordo vincolante per URSS e USA nel limitare la Indipendenza
politica delle
nazioni collocate sia
nelle due grandi aree di influenza (alleanza atlantica e patto di
Varsavia) sia nella grande area grigia residua del mondo. La
riduzione della indipendenza politica si chiama: sovranità
limitata. E’ la sovranità limitata che porta fuori dallo Stato
nazionale la fonte generatrice del potere politico. Un colpo
di Stato mira alla conquista della fonte del potere. Ma si
poteva fare un colpo di Stato in Italia dove non risiedeva la vera
fonte del potere politico? In
parole povere chi voleva fare in Italia un colpo di Stato avrebbe
dovuto colpire la Nato, l’Alleanza Atlantica e gli Stati Uniti. Il
discorso vale anche per coloro che avevano scelto l’obiettivo di
mettere fuori gioco il PCI: avrebbero dovuto mettere in crisi il patto
di Yalta. Non
tutti i magistrati e non tutti i giornalisti di controinformazioni
furono nel coro. Oggi
con un libro intervista (Intrigo
Internazionale) che vale un Manifesto per la riflessione storica, il
Magistrato Dr. Priore ed il giornalista Fasanella, tentano una
operazione temeraria e, speriamo, non
imprudente di separare il nucleo di verità storica dalla verità
del giudice-storico e del
politico-storico. Sono
da meditare le parole di un magistrato che ha saputo leggere le carte
processuali tenendo separate la ricerca della verità giudiziaria da
una corretta valutazione del contesto globale entro il quale si
snodavano i fatti. Pregevole
è l’opera di un giornalista d’inchiesta, studioso ed attento
nell’approfondire le cause generatrici degli eventi tragici che
hanno segnato la vita del nostro Paese. Il
Dr. Priore ha una tesi: il
contesto storico di lungo periodo che ha preceduto l’esito della
II° guerra mondiale, l’affidabilità dell’Italia
all’interno delle alleanze tra nazioni, il ritardo storico
dell’Italia nella ricerca di una espansione coloniale ed il contesto
storico post Yalta si sommarono con le difficoltà dell’Italia paese
di frontiera Est-Ovest e paese coinvolto nei conflitti mediterranei. Lo
scontro a bassa intensità nella striscia di terra Italia sul confine
Est-Ovest, complicò il gioco dell’Italia nel mediterraneo
(conflitto Israele-Palestina, guerra del petrolio, espansionismo
islamico, ritorno di fiamma del colonialismo inglese e francese e uno
scontro con il soverchiante dominio statunitense. Non
sfuggì all’occhio attento del magistrato e all’acutezza
dell’analista il gioco interno nel campo comunista e soprattutto
l’osservazione delle tendenze vive della Germania dell’Est a
giocare un ruolo di guida europea del comunismo internazionale. E’
intorno alla questione della sovranità limitata che si stabilirà il
valore di una ricerca storica libera dai vincoli delle verità
giudiziarie e paragiudiziarie. La
riduzione di sovranità entrò nella nostra Costituzione con
l’art.11. I costituenti, però, la subordinarono a due vincolanti
condizioni: 1-la
limitazione deve essere necessaria “ad un ordinamento che assicura
la pace e la giustizia tra le nazioni”; 2-il
consenso alla limitazione può essere dato solo in condizione di parità
con gli altri Stati. Accanto
alla sovranità limitata visibile (quella degli accordi
internazionali) vi è la sovranità limitata per interferenze,
utilizzate per inviare messaggi e correzioni di linea per i
Governi che lavorano nella direzione della liberazione dai vincoli
limitativi. Lo
Stato-Nazione vive se ha un popolo, un territorio, una sovranità.
L’Italia di frontiera ha avuto un popolo diviso, un territorio con
larghe fasce di terra di nessuno, una sovranità ridotta. Questa
condizione fu difesa dall’ atlantismo puro e dall’ortodossia
comunista. Il
processo di emancipazione liberatoria dai vincoli di limitazione nel
rispetto delle alleanze fu lento e difficile tra le forze di governo
ed ancora più lento nelle forze di sinistra che tutelavano la
simmetria internazionale delle limitazioni. Ma
perchè ancora oggi la verità storica su Ustica e su la strage di
Bologna è sussurrata (responsabilità francese per l’una e
vendetta palestinese per l’altra) e non è gridata a voce alta? Io
penso e quindi azzardo un ragionamento non sottovoce. L’Italia
aveva due debolezze: la zona di frontiera Est-Ovest e la collocazione
scomoda nel Mediterraneo perchè essa era nel bel mezzo di conflitti
bellici, economici e di spazi vitali altrui. Il
Muro di Berlino ha fatto cadere la prima debolezza e non ha risolto la
seconda questione. Per
la ricerca storica liberatoria abbiamo
bisogno che le fonti interne siano alimentate dalla
collaborazione internazionale. Ma
dubito che ciò possa avvenire in forma completa ed esaustiva perchè
la verità storica metterebbe in evidenza la sovranità limitata
per interferenze abusive e rivelerebbe episodi
di guerra non convenzionale combattuta sul nostro territorio. L’Italia
fu terra di guerra fredda accettata e di guerra calda subìta. Oggi
è chiuso il grande scontro Est-Ovest. L’impero
sovietico si è disgregato territorialmente ma rinasce come potenza regionale
con il mito della Grande Russia neozarista. I
Paesi del Patto di Varsavia sono entrati nella Nato. Però
i conflitti di area, sovratutto quelli mediterranei e medio-orientali
sono in piedi. In
questi ultimi ventanni i governi italiani hanno visto la
partecipazione e la guida di tutte quelle forze che furono escluse
nella prima fase dell’Italia repubblicana. Queste
forze hanno ottenuto la legittimazione internazionale dopo aver
sostenuto le difficili prove di esame nel saper
rispettare in continuità le regole del gioco. Hanno
saputo partecipare alle guerre nel mondo e non hanno chiesto conto del
passato. E’
un paradosso ma è così che va il mondo: quando si va al potere, per
un incidente della storia, nelle forze che a lungo hanno subìto ed
accettato il ruolo di opposizione, si affievolisce il desiderio di
ricerca della verità. L’operazione:
“autonomia della ricerca storica dalla storia per atti giudiziari o
paragiudiziari”, richiede una forza politica così potente da ottenere
dalle forze internazionali dominanti l’apertura degli archivi, le
confessioni dei violatori
della sovranità e l’incolpazione
degli operatori occulti. Per
ora continueranno a
valere le verità giudiziarie come verità storiche, e le verità
paragiudiziarie delle inchieste parlamentari come rappresentazione del
quadro storico-politico. E’
molto difficile che la verità storica autonoma possa prendere corpo
perchè siamo in un circolo vizioso. Coloro che chiedono una revisione
della verità giudiziaria si rivolgono all’autorità giudiziaria, e
in sostanza si chiede una ulteriore stratificazione di verità
giudiziaria a scapito della verità storica. L’unica
lama di luce che vedo nel buio è che le nuove ricerche giudiziarie
siano condotte da giudici, nutriti ed educati dai
dubbi del Dr. Priore e che i nuovi narratori ufficiali sappiano
seguire il metodo Fasanella. La
verità indicibile del Dr. Priore deve diventare verità storica. Ma
anche questa luce può spegnersi
se alla vecchia sovranità limitata si aggiungessero nuove
sovranità limitate. In
passato vi furono governanti coraggiosi che seppero porre in
discussione la dilatazione
della sovranità limitata. Ma
finirono male. Le
nuove sovranità limitate potrebbero imporsi se prevarrà l’idea che
il vincolo estero è sovranità assoluta e che la nostra sovranità è
nel buon commercio. Sarebbe
triste dover concludere che la generazione che fece dell’Italia la
quinta potenza del mondo ha ceduto lo scettro a chi crede che il
nostro orizzonte sia Tangeri, terra di lucrosi traffici e di belle
donne.
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